Erbario d’arte
Meraviglie e misteri in un convento della Val d’Orcia
È strabiliante l’erbario rinvenuto a metà anni ‘70 nel convento dei Cappuccini di San Quirico d’Orcia e oggi «riscoperto» in un prezioso volume edito da Effigi. Al posto delle canoniche illustrazioni, tipiche delle pubblicazioni del genere, ecco spuntare le «exsiccata». Ovvero piante vere e proprie, essiccate, fissate sulle pagine, classificate, e impreziosite da descrizioni scientifiche e virtù medicamentose.
Un lavoro certosino, risalente alla seconda metà del XVIII secolo. Il cui ritrovamento ha destato stupore tra gli appassionati di botanica, e non solo. Com’è possibile — si sono chiesti in molti — che un tomo sì raffinato, magistralmente ornato da motivi geometrici, arricchito da erbe esotiche e collegamenti con la mitologia, si trovasse nelle antiche stanze di un convento di campagna, abitato dai Cappuccini? Un ordine, tra l’altro, povero e intento principalmente a pregare, lavorare e curare ammalati? «Il suo valore è inestimabile — raccontano i principali titolari dell’impresa, il curatore Ugo Sani e il fotografo e studioso Paolo Naldi — Contiene piante secche e cartigli con un livello altissimo di qualità ed eleganza, dove, oltretutto, si elencano con dovizia di particolari uso farmacologico e virtù. Nondimeno rappresenta uno spaccato di vita settecentesca. Appena ne siamo venuti a conoscenza siamo andati a osservarlo, e subito è scattato il pensiero di doverlo divulgare; così abbiamo iniziato un lento lavoro di ricerca, catalogazione e assemblaggio, durato quasi dieci anni, e il risultato è questo libro appena stampato».
L’erbario originale, restaurato e oggi custodito al Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Siena, è diviso in tre faldoni a loro volta distinti in Plantae officinales e Plantae non officinales, e comprende un diario di appunti rilegato in carta pecora. Mentre un quarto e ultimo faldone, a completare l’opera e infittire il mistero (ce n’è abbastanza da fare impallidire Dan Brown) è stato rinvenuto nel 2017 in un secondo convento, sempre a San Quirico d’Orcia, ed è composto da ulteriori 66 esemplari di piante. In totale, nei volumi testé indicati, sono presenti 400 «exsiccata», di questi 85 sono nella pubblicazione di Effigi, che conta 171 «fogli» e un’alternanza di immagini suggestive a formare un catalogo dall’indubbio valore estetico, piacevole alla lettura e alla vista. Tra le molteplici curiosità, un bestiario sui generis dove si propongono collegamenti tra nomenclatura erbacea e animali, vedi «Lingua di lepre», mentre altrove si guarda all’Olimpo, è il caso di «Barba di Giove» e Menta, quest’ultima ninfa della mitologia greca. La storia dell’erbario è ingarbugliata, e inizia a Pienza il 10 agosto del 1789. Sono i giorni della Rivoluzione francese. Giorgio Santi, luminare all’Università di Pisa, assieme al fidato allievo Gaetano Savi, partono a cavallo alla volta del «montamiata», dove raccolgono i primi fiori, e del restante Granducato di Toscana, simili, si può immaginare, a Don Chisciotte e Sancio Panza. Tra le mete osservate i due «cavalieri botanici» annotano: Bagno delle Galleraje (Val di Cecina), «porto Falsio» (Livorno), «Littorale di Piombino», Golfo di Baratti, «Isolotto di portercole» (Argentario), lago dell’Accesa (Colline metallifere), lago di Chiusi, «Punta inferiore di Grosseto» (Ansedonia), Pitigliano e «Gioncarico». Durante le spedizioni raccolgono specie più o meno rare destinate a impreziosire l’Orto botanico di Pisa, di cui Santi all’epoca ricopriva il ruolo di direttore. Invece, e definirlo rebus è un eufemismo, cartigli, «exsiccata» e appunti, finiscono, non si sa in quali frangenti, al convento dei Cappuccini. Dove — s’immagina — un amanuense operò con rigore nel catalogare le erbe ai rispettivi fogli, mentre, al contempo, ebbe dei problemi con la scrittura in latino, o meglio «latinorum», per citare Manzoni: desinenze sbagliate, ripetizioni e doppie inserite a caso.
Tra le piante raccolte c’è la Belladonna, della famiglia delle Solanaceae, oggi usata in omeopatia, che, nomen omen?, può essere mortale e al contempo lenitiva: «Dammolte sperienze si risulta, che le sue bacche mangiate, metono l’uomo in pericolo di vitta e spesso ne reccano la morte. Si può riparare ai sconcerti, col far prendere al Paziente un bichiero d’acceto. Sadopra adunque solamente esternamente, e le sue foglie pestate ed applicate sopra le infiamazioni dollorose, le calmano, e risolvano masime nelle moroidi. Queste foglie, applicate esternamente, ammoliscano, e risolvano i tumori duri e cancerosi delle mamelle».
Nell’Erbario «2020» c’è la mano di vari accademici. Raffaele Giannetti, dell’Università di Siena, si è occupato di capire se il Santi fosse effettivamente riscontrabile nell’Erbario; e la risposta è stata certamente positiva. Mentre la parte, per così dire tecnica è stata affidata a due docenti del medesimo ateneo: Ilaria Bonini e Elisabetta Miraldi, le quali hanno contribuito fattivamente alla realizzazione del testo. Il valore dell’opera, al di là delle intenzioni degli autori, passati e, forse, presenti, si estrinseca completamente soltanto oggi: a 231 anni di distanza dal primo stelo raccolto sul «montamiata». In virtù, va da sé, del presente libro appena edito e di un sito (fondazionetagliolini.it) che riporta, senza lesinare dettagli, piante, studi, curiosità e ricerche propedeutiche alla stesura.
❞ Spaccato di vita settecentesca L’originale, custodito dall’Università di Siena, contiene piante secche e cartigli molto eleganti e un elenco delle virtù e degli usi farmacologici