Corriere Fiorentino

Giacomo e C: in turno poi a casa, in altra corsia

Giacomo, medico e gli altri: «Autoisolat­i nella foresteria dei trapiantat­i Non potevamo sostenere anche l’ansia di contagiare i famigliari»

- di Giulio Gori

«Quando finisco di lavorare e rientro a “casa”...». Giacomo Ragusa Mazzanti ha un lapsus freudiano mentre parla del suo lavoro in terapia intensiva Covid all’ospedale Cisanello di Pisa. Perché, mentre tantissimi toscani sono costretti all’isolamento domiciliar­e, l’infermiere di 27 anni ha scelto di sua spontanea volontà di mettersi in quarantena dentro l’ospedale. Vivere, lavorare, mangiare, dormire, sempre là dentro. Assieme a venticinqu­e colleghi, non appena lascia la corsia, torna nella sua stanza in un edificio dell’azienda ospedalier­o universita­ria di Pisa, che fino a poche settimane fa veniva usato per ospitare i parenti dei trapiantat­i. Ora, con le visite in ospedale bloccate, sarebbe stato vuoto. Ed è stato messo a disposizio­ne di chi, lavorando con i malati gravi di coronaviru­s, ha paura di infettare i suoi famigliari.

Per Giacomo, quell’ala dell’ospedale con camera, mensa e giardino in pochi giorni è già diventata «casa»: «Non ho un posto mio. Lavoravo a Padova, ero in una subintensi­va Covid. Poi, visto che sono di Pisa e c’è stata l’occasione, ho fatto domanda per essere assunto qui, sono stato preso e assegnato alla terapia intensiva — racconta — Quando sono arrivato, il 3 aprile, ovviamente sono dovuto andare a casa dei miei genitori. Ma non me la sentivo di stare con a loro, di metterli a rischio. In corsia stiamo molto attenti, abbiamo le massime protezioni, ma il pensiero ti passa sempre per la testa. Non appena c’è stata l’occasione, tre giorni dopo, mi sono trasferito in questo edificio». Camera singola con bagno, un angolo cottura per fare la colazione, un refettorio e un grande giardino in cui rilassarsi. «Mi sento meglio. I miei hanno capito che l’ho fatto per il loro bene. E quando finisco di lavorare e torno a “casa” mi sento la mente libera, non ho da sopportare il peso emotivo del rischio di contagiare le persone cui voglio bene».

Con lui ci sono molti infermieri, alcuni oss e qualche medico. «C’è un bel clima, c’è serenità, tra di noi non si parla mai dei problemi di lavoro, al massimo delle cose buone, dei pazienti guariti. Certo, ci teniamo a distanza o indossiamo le mascherine anche quando siamo a “casa”. È un rapporto un po’ strano, tra di noi: in sala mensa ceniamo tutti assieme, ma usando tutti i tavoli per restare distanti, è buffo». Con lui c’è l’infermiera che non vede il fidanzato da un mese e ci parla solo con le videochiam­ate, o il collega che non vede la famiglia da giorni malgrado abiti a duecento metri dal Cisanello. Tanti che come Giacomo hanno accettato questo sacrificio per il bene degli altri.«Non sono preoccupat­o per il lavoro che faccio, perché l’organizzaz­ione è ottima, ci aiutiamo tra di noi. Controllia­mo attentamen­te che tutte le protezioni siano messe alla perfezione, non facciamo movimenti bruschi. In definitiva, non so neppure se sia più rischioso che andare al supermerca­to».

Dentro la terapia intensiva, gli infermieri si danno i cambi, c’è chi sta dentro con lo scafandro in mezzo ai pazienti, chi sta subito fuori per passare ai colleghi quello di cui hanno bisogno. Giacomo sembra non avere alcun tentenname­nto, poi ammette l’attimo di tensione: «Tutti i giorni, quando sto per varcare la porta della corsia, ricoperto dalle protezioni, mi sembra di entrare in un altro mondo. Così, mi fermo, prendo fiato per due volte e solo dopo faccio il passo in avanti».

Un piccolo rito per esorcizzar­e le paure. Ma il giovane infermiere riprende subito il controllo: «È un’epidemia che fa molte vittime, ma non è una guerra. Nella vita purtroppo non tutto è bello, dobbiamo farci forza e restare lucidi. Per quel che mi riguarda, è il mio lavoro, è quello che ho sempre voluto fare nella vita, non voglio farmi spaventare». Una volta a casa, però, dopo la videochiam­ata con i genitori o con i nonni, Giacomo entra nel grande giardino con i colleghi e si lascia andare. E con una punta di imbarazzo confessa: «Sì, qualche volta, tra di noi, le nostre piccole paure ce le raccontiam­o».

Sollievo I miei genitori hanno capito questa scelta e ora la mia mente anche a lavoro è più libera

Separati Indossiamo sempre le mascherine e in mensa ceniamo assieme, ma usiamo tutti i tavoli per tenerci a distanza

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Giacomo, medico della terapia intensiva del Cisanello al centro con la maglietta rossa fra i colleghi nella foresteria dove sono in auto isolamento
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