«Una mattina in banca, un racconto dell’assurdo»
Caro direttore, vivere è un esercizio burocratico. Questa affermazione di Ennio Flaiano è quello che mi è venuto in mente la mattina del 9 aprile 2020.
Sono strani giorni questi, si esce per lo stretto necessario. Come moltissimi in questo momento, non ho lavoro, perciò preparo documenti Inps per la disoccupazione. L’Inps, tra i tanti, mi chiede un documento che deve essere timbrato dalla mia banca. So che ci sono in atto procedure speciali, quindi chiamo in banca e chiedo se posso avere il documento tramite mail. La banca mi dice devo andare di persona; chiedo allora un appuntamento. Mi rispondono che non è necessario per l’operazione, basterà mettersi in fila fuori. Vado in banca e in fila davanti a me c’è una vecchina. Un’impiegata arriva alle porte trasparenti, ma serrate, dell’ingresso e parla a un microfono. Impiegata: «Mi dica!» La vecchina si guarda intorno smarrita, perché deve dire tutti i fatti suoi privati davanti a noi in fila, e dice: « Dovrei fare questo... Mi fa entrare?».
Impiegata: «No signora, queste cose deve farle da sé, al bancomat o al pc».
Vecchina: «Ma io non so farle da sola!».
Impiegata: «Non so che dirle!».
La vecchina va via afflitta. Io sono basita. I signori dietro di me in fila borbottano contro la banca. È il mio turno e penso che avrei dovuto difendere la signora, mi sento in colpa, forse dovrei «vendicarla».
L’impiegata sempre al microfono: «Mi dica!»
Io: «Scusi, ma io non le dico proprio nulla a alta voce dei fatti miei, da qui fuori. In banca non c’è nessuno, le distanze sono siderali, lei mi faccia entrare e le dico»
Impiegata: «No, lei deve dirlo ora, mentre è fuori».
Io: « No, No! O lei mi apre perché la banca è aperta o io chiamo i carabinieri».
Obtorto collo mi apre. Così spiego cosa mi serve.
Impiegata:«Deve prendere appuntamento».
Io: «Non credo proprio, ho chiamato qui ieri e mi avete detto che per questo servizio non era necessario appuntamento».
Impiegata: «Non so che dirle».
Io: «Non mi muovo fino a che non mi servite, oppure chiamo carabinieri».
Impiegata: «Ok, facciamo questo documento».
Preciso che non dovevano fare proprio niente , il documento lo avevo fatto io e portato a loro che dovevano soltanto timbrare.
Io: «Senta, io avrei anche bisogno di sospendere il pagamento della mia polizza assicurativa».
Impiegata: «Deve prendere appuntamento».
Io: « Sì certo. Prendo appuntamento. Quando devo tornare e a che ora? ».
Impiegata: «Non può prendere appuntamento in banca. Deve telefonare». Io: «A chi?». Impiegata: «A noi qui in banca e prende appuntamento per venire in banca». Io: «Ma lei sta scherzando? Mi sta dicendo che io che sono in banca e per prendere un appuntamento, devo uscire dalla banca e telefonare in banca? E magari è lei stessa a rispondermi!». Impiegata: «Sì».
Io: «Senta, io capisco che siamo tutti stanchi, ma qui siamo all’assurdo! È proprio vero che niente è più stupido della burocrazia. Bene! Vado via e mi raccomando non usi mai la sua testa quando lavora!».
Esco dalla banca e, a un passo dalla porta, chiamo al numero che mi ha dato, per fissare l’appuntamento. Mi risponde con voce gentile e sorridente, un’altra dipendente che lavora da casa in smart working. Le spiego quanto mi occorre e dove sono, l’impiegata inizia a ridere, poi ridiamo insieme sull’accaduto, infine mi da appuntamento al giorno dopo. Mentre torno a casa penso a quel «mostruoso e cieco marchingegno» chiamato burocrazia, che divora l’impiegato e il cittadino con forza misteriosa. Penso a certi racconti di Andrea Camilleri. Penso a José Saramago e alla sua denuncia verso l’alienazione umana per colpa della burocrazia. Poi penso al tedio angosciante provocato dall’impiego burocratico e descritto magistralmente da Kafka, Beckett e Pessoa. Infine, ripenso a Flaiano e mi dico: sì, vivere è un esercizio burocratico! Però aggiungo: oscillante tra l’inghiottire e l’essere inghiottiti!