SI POTEVA LIMITARE IL DISORIENTAMENTO
Si è molto scritto sulla immediata chiusura delle chiese e sulla sospensione del culto pubblico, operata dalle diocesi in osservanza del primo Decreto legge, del 23 febbraio. Numerosi vescovi sono intervenuti poi, e tuttora, per sfumare quella precipitazione e precisare: chiese riaperte, correttivi, istruzioni. Vi è chi ha pensato bene di dire che, insomma!, la fede non ha bisogno di spazio. Andrebbe detto alle comunità cristiane accerchiate, per capire da loro (visto che nella quiete occidentale la cosa sfugge) quanto e perché valga un luogo per il rito, e cosa sia uno spazio sacro. Eppure, che la sicurezza della Chiesa cattolica sia apparente lo dice il caso Peel, per l’Australia un affaire Dreyfus alla rovescia e di basso livello, ma anche una guerriglia anticattolica che solo i conservatori, oltre ai Cardinali Ruini e Müller, hanno preso sul serio. L’arcivescovo di Firenze ha sottolineato francamente, nella sua Lettera per il «tempo di pandemia» del 5 aprile scorso, che il sacrificio della non presenza alle celebrazioni ordinarie e del Tempo pasquale, è accettato per responsabilità, «come un atto di carità verso i nostri fratelli più fragili». Questa felice formulazione ci guida, mentre esclude qualsiasi irrilevanza, anche provvisoria, del rito e del luogo. In un tale quadro complicato, mi permisi di confessare a un vescovo amico alcune mie insoddisfazioni. Era mancata nelle prime sporadiche dichiarazioni dei vescovi una chiara distinzione tra la sospensione di emergenza delle Messe cum populo e la santa Messa come tale, che niente impedisce ai sacerdoti di celebrare, in maniera salutare e valida, sine populo. Chiedevo che si marcasse la distinzione che corre tra la limitazione di fatto al concorso di persone che accompagna una celebrazione liturgica, e la celebrazione in se stessa. Tra una chiesa vuota, da un lato, e la realtà intatta della azione liturgica e dei suoi effetti, dall’altro. Ogni liturgia (leitourgía, servizio della cosa pubblica, da leós, laós, popolo, moltitudine, sudditi, e dal suffissoide -ourgía, cfr. ergon, werk, opera) è un servizio sacro prestato per il bene pubblico, da specialisti religiosi. La Conferenza Episcopale Umbra ha prodotto, a firma dell’Arcivescovo Boccardo, un coraggioso (per questo strano tempo della Chiesa)
❞ I fedeli devono sapere di star «partecipando» sempre, anche se distanti, purché interiormente disposti secondo l’intenzione con cui la Chiesa li convoca ordinariamente negli spazi liturgici
documento in cui si ricorda che «la ‘materia’ imprescindibile della Messa sono il pane e il vino, così come la ‘forma’ è data dall’atto celebrativo presieduto dal sacerdote. Quando un presbitero celebra l’Eucaristia ‘con l’intenzione di fare ciò che vuole fare la Chiesa’, quella Messa attualizza oggettivamente il mistero pasquale di Cristo»; aggiungo: e non richiede altra validazione. Dottrina classica e costante, che pure qualcuno vuole declassare come «clericale». Ma il liturgo è sempre un «separato», un «consacrato». La liturgia eucaristica è anzitutto Mistero memoriale e Azione di lode a Dio; celebrata dal sacerdote in persona Christi capitis ha valore in se stessa «pro multis». Non è un’espressione di sociabilité immanente né, specialmente, consegue la sua realtà soprannaturale dal basso. I fedeli devono sapere di star «partecipando» — nel Mistero — sempre, anche se distanti, purché interiormente disposti secondo l’intenzione con cui la Chiesa li convoca ordinariamente negli spazi liturgici. Che questo venisse detto più coralmente e con più convinzione! Si potevano limitare sia il disorientamento (che facciamo?) sia la concentrazione sulle liturgie «domestiche», nelle quali è facile lo slittamento dalla «famiglia piccola chiesa in preghiera», che l’arcivescovo Betori raccomanda, al «liberi tutti» celebrativo. Abbiamo sempre saputo che la Messa «oltrepassa» le mura che sono erette a proteggere e inscrivere l’azione santa: il tempio. Dato il tempio, e anche in virtù del simbolismo del tempio, la Messa è evento misterico «cosmico». La l’assenza di «popolo» non declassa il tempio, come il tempio non teme l’assenza di popolo. Ogni Messa partecipa della Messa eterna celebrata dal Figlio. Anzi, per una grande scuola francese di spiritualità del XVII secolo (de Condren, Olier), celebrata dal Padre nell’oblazione del Figlio. Vertigini del legame cielo-terra di cui la liturgia consiste. Mi piace ricordarlo sotto Pasqua, il cui evento fondante, la Croce, è posto tra cielo e terra, al cuore di tutto. E la Resurrezione ne è sigillo. Si tratta dunque di materia grave, non di buone parole ma di sacramenti. La distanza dal tempio non dovrebbe, credo, invitare al «fai da te», a surrogati, ma a tenere fermo il pensiero sui luoghi e sugli atti ove si riattualizza il Mistero pasquale. Fidiamo che saremo parte.