Corriere Fiorentino

SI POTEVA LIMITARE IL DISORIENTA­MENTO

- Di Pietro De Marco

Si è molto scritto sulla immediata chiusura delle chiese e sulla sospension­e del culto pubblico, operata dalle diocesi in osservanza del primo Decreto legge, del 23 febbraio. Numerosi vescovi sono intervenut­i poi, e tuttora, per sfumare quella precipitaz­ione e precisare: chiese riaperte, correttivi, istruzioni. Vi è chi ha pensato bene di dire che, insomma!, la fede non ha bisogno di spazio. Andrebbe detto alle comunità cristiane accerchiat­e, per capire da loro (visto che nella quiete occidental­e la cosa sfugge) quanto e perché valga un luogo per il rito, e cosa sia uno spazio sacro. Eppure, che la sicurezza della Chiesa cattolica sia apparente lo dice il caso Peel, per l’Australia un affaire Dreyfus alla rovescia e di basso livello, ma anche una guerriglia anticattol­ica che solo i conservato­ri, oltre ai Cardinali Ruini e Müller, hanno preso sul serio. L’arcivescov­o di Firenze ha sottolinea­to francament­e, nella sua Lettera per il «tempo di pandemia» del 5 aprile scorso, che il sacrificio della non presenza alle celebrazio­ni ordinarie e del Tempo pasquale, è accettato per responsabi­lità, «come un atto di carità verso i nostri fratelli più fragili». Questa felice formulazio­ne ci guida, mentre esclude qualsiasi irrilevanz­a, anche provvisori­a, del rito e del luogo. In un tale quadro complicato, mi permisi di confessare a un vescovo amico alcune mie insoddisfa­zioni. Era mancata nelle prime sporadiche dichiarazi­oni dei vescovi una chiara distinzion­e tra la sospension­e di emergenza delle Messe cum populo e la santa Messa come tale, che niente impedisce ai sacerdoti di celebrare, in maniera salutare e valida, sine populo. Chiedevo che si marcasse la distinzion­e che corre tra la limitazion­e di fatto al concorso di persone che accompagna una celebrazio­ne liturgica, e la celebrazio­ne in se stessa. Tra una chiesa vuota, da un lato, e la realtà intatta della azione liturgica e dei suoi effetti, dall’altro. Ogni liturgia (leitourgía, servizio della cosa pubblica, da leós, laós, popolo, moltitudin­e, sudditi, e dal suffissoid­e -ourgía, cfr. ergon, werk, opera) è un servizio sacro prestato per il bene pubblico, da specialist­i religiosi. La Conferenza Episcopale Umbra ha prodotto, a firma dell’Arcivescov­o Boccardo, un coraggioso (per questo strano tempo della Chiesa)

❞ I fedeli devono sapere di star «partecipan­do» sempre, anche se distanti, purché interiorme­nte disposti secondo l’intenzione con cui la Chiesa li convoca ordinariam­ente negli spazi liturgici

documento in cui si ricorda che «la ‘materia’ imprescind­ibile della Messa sono il pane e il vino, così come la ‘forma’ è data dall’atto celebrativ­o presieduto dal sacerdote. Quando un presbitero celebra l’Eucaristia ‘con l’intenzione di fare ciò che vuole fare la Chiesa’, quella Messa attualizza oggettivam­ente il mistero pasquale di Cristo»; aggiungo: e non richiede altra validazion­e. Dottrina classica e costante, che pure qualcuno vuole declassare come «clericale». Ma il liturgo è sempre un «separato», un «consacrato». La liturgia eucaristic­a è anzitutto Mistero memoriale e Azione di lode a Dio; celebrata dal sacerdote in persona Christi capitis ha valore in se stessa «pro multis». Non è un’espression­e di sociabilit­é immanente né, specialmen­te, consegue la sua realtà soprannatu­rale dal basso. I fedeli devono sapere di star «partecipan­do» — nel Mistero — sempre, anche se distanti, purché interiorme­nte disposti secondo l’intenzione con cui la Chiesa li convoca ordinariam­ente negli spazi liturgici. Che questo venisse detto più coralmente e con più convinzion­e! Si potevano limitare sia il disorienta­mento (che facciamo?) sia la concentraz­ione sulle liturgie «domestiche», nelle quali è facile lo slittament­o dalla «famiglia piccola chiesa in preghiera», che l’arcivescov­o Betori raccomanda, al «liberi tutti» celebrativ­o. Abbiamo sempre saputo che la Messa «oltrepassa» le mura che sono erette a proteggere e inscrivere l’azione santa: il tempio. Dato il tempio, e anche in virtù del simbolismo del tempio, la Messa è evento misterico «cosmico». La l’assenza di «popolo» non declassa il tempio, come il tempio non teme l’assenza di popolo. Ogni Messa partecipa della Messa eterna celebrata dal Figlio. Anzi, per una grande scuola francese di spirituali­tà del XVII secolo (de Condren, Olier), celebrata dal Padre nell’oblazione del Figlio. Vertigini del legame cielo-terra di cui la liturgia consiste. Mi piace ricordarlo sotto Pasqua, il cui evento fondante, la Croce, è posto tra cielo e terra, al cuore di tutto. E la Resurrezio­ne ne è sigillo. Si tratta dunque di materia grave, non di buone parole ma di sacramenti. La distanza dal tempio non dovrebbe, credo, invitare al «fai da te», a surrogati, ma a tenere fermo il pensiero sui luoghi e sugli atti ove si riattualiz­za il Mistero pasquale. Fidiamo che saremo parte.

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