Corriere Fiorentino

Siena, che fare Gnudi Angelini: dagli stranieri disdette ma caparre salve, ripartiamo da questa fiducia

- di Daniele Magrini

In un disincanta­to editoriale uscito nella cronaca senese de La Nazione (3 maggio) Pino Di Blasio liquida il tema della «Grande Siena» che il Corriere Fiorentino ha riportato alla ribalta come una «eterna chimera», sognata con pervicace nostalgia da ex sindaci. Liquidazio­ne davvero fuori tempo di una prospettiv­a che chiede piuttosto di essere approfondi­ta per disegnare una mappa programmat­ica del dopo-pandemia all’altezza delle sfide che Siena dovrà affrontare. E i colloqui, gli interventi, i suggerimen­ti già registrati hanno già offerto o ribadito contenuti sui quali riflettere e lavorare: è l’inizio di un viaggio da proseguire, senza restringer­lo ad una dimensione puramente amministra­tiva o politicist­ica. Di Blasio cade in una palese contraddiz­ione quando afferma che per un serie di servizi e di iniziative economiche lo spazio di Siena si distende già, per frammenti, oltre le antiche mura e aggiunge: ciò che manca è la politica. Riconoscen­do, quindi, che è mancata e manca una direttrice sicura, una governance che punti su priorità ben individuat­e e organizzi una questione da non impostare seccamente in termini urbanistic­i e territoria­li o tanto meno come problema di ridefinizi­one di confini. Si sa bene, purtroppo, quali sarebbero gli ostacoli da affrontare. Anche se un assetto più moderno e robusto (anche demografic­amente) di Siena e, intanto, dei cinque Comuni coinvolti è tutt’altro che secondario per creare un ambiente diffuso più saldo e attrattivo per residenti e nuove presenze. Una città non è una piattaform­a digitale. Si tratta di qualificar­e il quadro in discussion­e puntando su alcune priorità che la crisi rende più che mai attuali. Ci torneremo quando il viaggio sarà più avanzato. Gli ambiti prevalenti sono individuat­i: patrimonio artistico, ricerca scientific­a, area biomedical­e, scienze della vita, scambi internazio­nali, filiera dall’agroalimen­tare nelle sue varietà. Un città fisica di fatto più ampia, ecologica per vocazione, verde e costruita, risponde alla domanda di socievole appartenen­za e ariosa salubrità oggi più rare e più desiderate. Per condurre in porto con costanza una linea di lungo respiro è necessario un coeso ceto dirigente. Ciascuno farà la sua parte, non ubbidendo a diatribe retrospett­ive o a rancori anacronist­ici. Che vuol dire che i sindaci di una Grande Siena non chiusa in se stessa sono tutti espression­e di una medesima matrice partitica ma che proprio il sindaco del capoluogo, Luigi De Mossi, è di un «altro colore»? Se si crede davvero che la ricetta per una ripresa innovatric­e che guardi alle cose da fare, ai progetti-chiave, agli investimen­ti da reperire, al sostegno dell’intraprend­enza giovanile, a relazioni internazio­nali da moltiplica­re sia un civismo inclusivo occorre uno spirito di concretezz­a che abbandoni decrepiti schemi. La diversità delle idee non è un fastidio da evitare in nome di un arrogante «pensiero unico». Istituire collaboraz­ioni sistematic­he in grado di favorire una visione policentri­ca in un luogo ricco di rare opportunit­à non è una chimera da irridere opponendol­e il presunto realismo di chi la sa lunga.

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