IL DISVELAMENTO DI BONAFEDE
Alfonso Bonafede, unico ministro fiorentino (ancorché d’adozione) del governo Conte è rimasto vittima di se stesso. Domenica scorsa, su La7, è andato in onda un imbarazzante scambio fra lui e il magistrato Nino Di Matteo, consanguineo culturale del guardasigilli.
Il pm Di Matteo, membro del Csm, ha detto che nel 2018 Bonafede gli aveva offerto di dirigere il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria; offerta che sarebbe poi decaduta dopo la reazione di alcuni boss detenuti al 41 bis, intercettati, preoccupati per la nomina di Di Matteo a capo delle carceri. L’incarico poi, come noto, è andato a Francesco Basentini, che si è dimesso nei giorni scorsi (in ritardo di due mesi e probabilmente per i motivi sbagliati, ma questo è un altro discorso e un’altra storia). Alla telefonata di Di Matteo ha fatto seguito quella di uno stupefatto, diciamo così, Bonafede, che ha provato a impapocchiare qualcosa, prima stilando l’elenco dei suoi presunti risultati alla guida del ministero della Giustizia, poi balbettando di fronte a una semplice domanda: è vero o no quello che dice Di Matteo?
Insomma, Bonafede è diventato il bersaglio del metodo che gli ha consentito di prosperare politicamente per anni e di diventare quello che è: uno degli esponenti di spicco del M5s, con una influenza notevole sulle scelte dei grillini, nonché il ministro della Giustizia, dicastero fra i più autorevoli del governo. Non dimentichiamo che se abbiamo Beppe Conte presidente del Consiglio, è merito di Bonafede, visto che a suo tempo lo aveva suggerito lui. Stesso discorso per Luca Lanzalone, avvocato, già presidente di Acea dopo essersi occupato a Livorno di Aamps, partecipata del Comune. Il ministro della Giustizia, nostro malgrado, è qualcosa di più di un semplice passante della Storia. Ma la telefonata di domenica dimostra una cosa a chi aveva ancora dei dubbi (e non è detto che siano pochi): c’è una «classe dirigente» cresciuta sotto una campana protettrice, gente abituata a concionare senza contraddittorio. Una «classe dirigente» che alla minima pressione o difficoltà va in tilt, balbetta,non sa come contrastare chi usa a sua volta l’arma delle accuse con alta audience. Il problema, evidentemente inesplorato per i Bonafede (sono vari e non sono soltanto nel M5s, ce ne sono anche nel centrosinistra), è che in politica arriva sempre, prima o poi, il momento del disvelamento. È toccato a tutti, rottamatori e sfascisti.