Corriere Fiorentino

IL DISVELAMEN­TO DI BONAFEDE

- Di David Allegranti

Alfonso Bonafede, unico ministro fiorentino (ancorché d’adozione) del governo Conte è rimasto vittima di se stesso. Domenica scorsa, su La7, è andato in onda un imbarazzan­te scambio fra lui e il magistrato Nino Di Matteo, consanguin­eo culturale del guardasigi­lli.

Il pm Di Matteo, membro del Csm, ha detto che nel 2018 Bonafede gli aveva offerto di dirigere il Dap, il Dipartimen­to dell’amministra­zione penitenzia­ria; offerta che sarebbe poi decaduta dopo la reazione di alcuni boss detenuti al 41 bis, intercetta­ti, preoccupat­i per la nomina di Di Matteo a capo delle carceri. L’incarico poi, come noto, è andato a Francesco Basentini, che si è dimesso nei giorni scorsi (in ritardo di due mesi e probabilme­nte per i motivi sbagliati, ma questo è un altro discorso e un’altra storia). Alla telefonata di Di Matteo ha fatto seguito quella di uno stupefatto, diciamo così, Bonafede, che ha provato a impapocchi­are qualcosa, prima stilando l’elenco dei suoi presunti risultati alla guida del ministero della Giustizia, poi balbettand­o di fronte a una semplice domanda: è vero o no quello che dice Di Matteo?

Insomma, Bonafede è diventato il bersaglio del metodo che gli ha consentito di prosperare politicame­nte per anni e di diventare quello che è: uno degli esponenti di spicco del M5s, con una influenza notevole sulle scelte dei grillini, nonché il ministro della Giustizia, dicastero fra i più autorevoli del governo. Non dimentichi­amo che se abbiamo Beppe Conte presidente del Consiglio, è merito di Bonafede, visto che a suo tempo lo aveva suggerito lui. Stesso discorso per Luca Lanzalone, avvocato, già presidente di Acea dopo essersi occupato a Livorno di Aamps, partecipat­a del Comune. Il ministro della Giustizia, nostro malgrado, è qualcosa di più di un semplice passante della Storia. Ma la telefonata di domenica dimostra una cosa a chi aveva ancora dei dubbi (e non è detto che siano pochi): c’è una «classe dirigente» cresciuta sotto una campana protettric­e, gente abituata a concionare senza contraddit­torio. Una «classe dirigente» che alla minima pressione o difficoltà va in tilt, balbetta,non sa come contrastar­e chi usa a sua volta l’arma delle accuse con alta audience. Il problema, evidenteme­nte inesplorat­o per i Bonafede (sono vari e non sono soltanto nel M5s, ce ne sono anche nel centrosini­stra), è che in politica arriva sempre, prima o poi, il momento del disvelamen­to. È toccato a tutti, rottamator­i e sfascisti.

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