Donna Clelia, la centenaria che ha battuto il Coronavirus (e un secolo fa la Spagnola)
Dimessa da Ponte a Niccheri dopo un mese
A Gavinana c’è chi la chiama «la nonna sprint». E ora Clelia, 100 anni, ha battuto di corsa anche il più temibile dei nemici: il coronavirus. Risultata positiva a inizio marzo, ha passato un mese all’ospedale di Ponte a Niccheri. «Non ne posso più di mangiare yogurt e semolino, ho voglia di pane e pasta», diceva nelle telefonate alla figlia. E ancora: «Io mi sento bene. Vorrei uscire». Ieri è stata accontentata: dopo il secondo tampone negativo, è stata dimessa dall’ospedale. «Una grande vittoria», ha detto il direttore del reparto Malattie infettive Pier Luigi Blanc.
A Gavinana tutti la conoscono come la «nonna sprint». Perché prima del suo ricovero in ospedale (per un incidente domestico) a febbraio, Clelia, 100 anni, era completamente indipendente. Le sue giornate erano scandite dalla passeggiata nel quartiere, la spesa al supermercato, l’acquisto del giornale dall’edicolante di fiducia e il pranzo in famiglia: «Scendeva le scale a due a due e in 99 anni non ha mai avuto neanche un raffreddore», racconta la figlia Carla.
Poi il ricovero in una Rsa per la riabilitazione, e il 5 marzo ecco la notizia che non vorresti mai sentire: «Sua madre, mi hanno detto i medici, ha purtroppo contratto il Covid19». Ma la «nonna sprint» è un’anziana fuori dal comune — come lo è anche il fratello di 97 anni, che ancora guida l’auto e fa tutto da sé — e così, dopo aver passato indenne la pandemia della Spagnola, la Seconda Guerra Mondiale e l’alluvione di Firenze, ora ha «spernacchiato» anche il coronavirus.
Ieri mattina a Clelia hanno fatto il secondo tampone che è risultato negativo, e allora il reparto di Malattie infettive del Santa Maria Annunziata di Bagno a Ripoli ha deciso di dimetterla dopo 30 giorni di degenza e di totale isolamento. «Una grande vittoria — commenta Pier Luigi Blanc, direttore di Malattie infettive — per lei e per tutto il nostro reparto. Non ha mai avuto un’insufficienza respiratoria grave e fin da subito siamo riusciti a tenerla rapidamente senza ossigeno. Esce oggi (ieri, ndr) guarita e in buone condizioni». Dall’ospedale, inoltre, fanno sapere che la centenaria è stata sempre vigile e collaborativa, e dopo qualche problema di alimentazione iniziale ha poi subito ripreso a mangiare.
«Ci siamo sentite spesso durante questa quarantena — racconta la figlia— e la mamma mi diceva che era stufa di yogurt e semolini: “voglio il pane e la pasta, che me ne devo fare di codesto cibo che non sazia? E poi io mi sento bene, perché devo star rinchiusa qui dentro?”, mi ripeteva al telefono».
Clelia, nata in provincia di Grosseto, si è trasferita a Firenze — che definisce «la città più bella del mondo» — insieme al marito pochi mesi prima dell’alluvione, «che le allagò completamente la casa. Ma lei è sempre stata una donna forte. E senza perdersi d’animo, con il babbo ricostruirono tutto, con sudore e fatica». Che questa «nonna sprint» avesse un carattere fuori dal comune, Carla lo ha capito durante la guerra, «quando per lungo tempo fummo costrette a vivere nascosti in un campo di granoturco. Ci aiutavano i contadini ad andare avanti, ma un giorno arrivarono i tedeschi. Io corsi loro incontro pensando che tra quegli uomini in divisa ci fosse mio padre (che era
❞ Le telefonate alla figlia Sono stufa di yogurt e semolini, voglio mangiare la pasta Sto bene, voglio uscire
impegnato nella guerra d’Africa, ndr), ma lei si frappose tra me e loro, e credendo volessero farmi del male mi prese in collo e li affrontò. Quei militari si fecero una risata e tirarono dritto».
Il timore di Carla, però, è che il virus possa aver fiaccato non solo il fisico ma anche la mente della madre: «Il pensiero di non vederla più sprint mi dà grande dolore anche perché durante il suo isolamento dovuto all’infezione, tra le lacrime si è lasciata sfuggire che era stanca».
E invece Clelia è stata più forte del Covid-19, e negli ultimi giorni, anche se costretta a rimanere sdraiata su un letto, ha riacquistato di nuovo tutta la sua verve. Insomma, per questa donna classe 1921 definita «una resiliente, una che non molla», il paradiso può ancora aspettare un po’ perché, ha confidato ai familiari, «ho ancora da fare su questa terra. E poi voglio godermi un po’ la mia Firenze e il mio quartiere».
Clelia nella sua lunga vita ha visto tutto, fame, dolore, progresso, crisi e resurrezioni. Ma valicata la barriera centenaria il destino le ha messo davanti questa nuova sfida, invisibile e terribile allo stesso momento che però lei ha saputo affrontare con grande coraggio, «perfino infondendoci speranza quando oramai pensavamo di perderla», conclude la figlia. La donna è diventata una sorta di «testimone della speranza» per il reparto di malattie infettive del Santa Maria Annunziata di Bagno a Ripoli.