IL MECENATISMO E I SUOI RISCHI
Il programma del sindaco Dario Nardella per un «soccorso» internazionale che salvi Firenze ha senza dubbio il merito di rimettere la città al posto che merita in un difficile panorama mondiale. Ma in agguato ci sono alcuni importanti rischi. Il primo, visibile ad occhio nudo, è quello di trovarsi di fronte a reazioni tiepide a causa della profonda diversità tra la pandemia e l’evocato precedente dell’alluvione del 1966: allora a restare danneggiato fu un prezioso patrimonio che il mondo sente ancora suo. Oggi, come se si fosse trattato di una bomba di gas nervino, quei beni non hanno riportato danni, incalcolabili invece nel tessuto economico di una città che, in barba alle più elementari leggi del mercato, non ha saputo diversificare puntando tutto da decenni su un turismo di discutibile qualità, oppure subendolo, ed è stata colpita al cuore. Anzi, vicino ad esso. Nella tasca dove si tiene il portafoglio. Il secondo rischio, più subdolo, si nasconde dietro alla fragile idea che vi sia ancora il mecenatismo di cinque o sei secoli fa. Sarà brutale, ma la maggior parte dei moderni «mecenati» sono pronti a donare, anzi ad investire, in cambio di qualcosa. Si racconta che a un ricco signore giapponese che ebbe un certo ruolo nel far crescere ruolo e opportunità del Maggio Musicale Fiorentino fu conferito il Fiorino d’oro. Sorridendo, ma neanche troppo, chiese quali vantaggi quel riconoscimento avrebbe potuto dargli: sconti sui viaggi o in albergo? Non ci sarebbe dunque da stupirsi se nelle sue interlocuzioni con potenziali sostenitori stranieri il sindaco si sentisse chiedere in cambio, magari, qualche pezzo pregiato di centro storico. Con la prospettiva di sostituire i b&b nostrani con resort di lusso. Firenze smetterebbe così di essere la Disneyland del Rinascimento per diventare buen retiro di qualche oligarca o magnate e perdendo così l’opportunità, sebbene sorta da un momento drammatico, di ripensare a un sistema economico più equilibrato e a un diverso destino del suo centro storico. Gli investimenti, se ci saranno, servano a ricostruire una trama dell’economia artigiana, favorire la residenza e la permanenza di chi sceglie Firenze, innestare funzioni pregiate dove è stato fatto un deserto. Ma lo si può fare solo con una regia accorta e rigorosa che, certo, sarebbe più facile se vi fossero in città leve finanziarie come banche e assicurazioni che hanno scelto sedi diverse da Firenze. E magari con qualche sforzo in più di fiorentini abbienti che, non sempre ma talvolta, si ricordano di essere tali solo quando questo marchio di fabbrica è loro utile.