AL PUNTO DI PARTENZA
L’emergenza sanitaria non è ancora terminata, ma la politica è già entrata in una fase 3, o meglio è tornata al punto di partenza. Tutti i malesseri della maggioranza stanno trovando sfogo.
Per Beppe Conte è arrivato quel momento: il cordone sanitario attorno a lui s’allenta e si comincia a ragionare sulle prossime elezioni politiche. Come avranno notato i più accorti lettori, è appena iniziata una più o meno lunga campagna elettorale. Mentre il presidente del Consiglio mercoledì teneva la sua conferenza stampa con il consueto contorno di annunci (tra cui i mitologici Stati Generali di cui pare che nel Pd nessuno sapesse niente), il ministro degli Esteri Luigi Di Maio twittava foto di incontri internazionali.
Mentre sui giornali si parla del «partito di Conte» o della «lista Conte», il fasciocomunista Alessandro Di Battista punta alla leadership del M5S, con il solito pacchetto di fesserie presunte anti-establishment. E mentre il presidente del Consiglio annuncia piani di «rinascita» (manca democratica e siamo a posto), il Pd s’accorge che Conte sta iniziando a prendersi molte, troppe libertà e qua e là spuntano voci dissenzienti. D’altronde anche nel Pd è iniziata una fase 3 (anche se simile a un eterno giorno della marmotta) con ministri già in campagna elettorale, citofonare Dario Franceschini.
Gli spazi lasciati vuoti nel Pd dopo l’addio di Matteo Renzi ancora non sono stati riempiti. I riformisti sono tutt’ora senza una voce, cercano un leader che li rappresenti. Giorgio Gori? Lorenzo Guerini? Dario Nardella? Gli aspiranti eredi possono anche essere molti, ma i sindaci adesso sembrano comprensibilmente alle prese con la ricostruzione post-Covid che ha squassato intere città, dal punto di vista sanitario e/o socio economico. In ogni caso, quello che non si intravede è un terremoto simile a quello che Renzi provocò nel 2010. Forse quella stagione pirotecnica s’è chiusa per sempre, perché adesso sembrano essere privilegiate dall’elettorato leadership meno ansiogene. Ma in questo momento, ansiogena o no, la Toscana avrebbe bisogno di una voce politica forte, che tutt’ora manca e che faccia sentire il suo eventuale peso specifico nel dibattito pubblico. Enrico Rossi è stato fin qui, altrettanto comprensibilmente, impegnato nella gestione della fase emergenziale, ma dovrà iniziare a pensare a cosa fare dopo, visto che il mandato sta per terminare. Di Nardella s’è già detto. Il senatore di Scandicci è alle prese con i sondaggi non favorevoli, incalzato da Carlo Calenda. Il centrodestra è ancora impelagato in discussioni nazionali che avranno ricadute sulla Toscana sulle candidature per le elezioni regionali, quindi pare piuttosto distratto e poco interessato alla questione. Oltretutto, è all’opposizione anche a Roma, quindi gli spazi di agibilità politica sono oggettivamente ridotti. Ma se c’è qualcuno con idee, questo è il momento giusto per farsi avanti. Certo, le leadership — non solo politiche — non si costruiscono in un mese, servono anni. Renzi fu veloce ma dalla sua, nonostante le grida rottamatrici e certe sortite populiste, aveva la professionalità del politico. Qui nessuno sembra neanche porsi il problema. Non c’è un dibattito nei partiti toscani (i cenacoli intellettuali sono inesistenti, figurarsi). Non sembra nemmeno esserci consapevolezza dell’occasione a portata di mano di una generazione che dieci anni fa aveva vent’anni, non contava nulla, e oggi ha quantomeno visto come sono andati a schiantarsi i predecessori. Ha avuto tutto il tempo di prendere appunti.
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