Corriere Fiorentino

«I giovani, la politica e la crisi di Firenze»

Il presidente dell’Osservator­io, che compie vent’ anni: «All’Italia servirebbe un progetto che arrivi al 2030» Firenze è in crisi ma ha un’anima e va raccontata come una fiaba. Non vedo chi lo possa fare

- Ermini

Ha vent’anni ed orgogliosa­mente li dimostra e li mostra, come accade ai ragazzi di quell’età: il 5 giugno del 2000 nasceva a Firenze l’Osservator­io Giovani-Editori, la creatura di Andrea Ceccherini, fiorentino di Scandicci, classe 1974, liceo scientific­o e poi Giurisprud­enza. L’obiettivo era quello di educare gli studenti italiani delle superiori alla cittadinan­za piena e consapevol­e attraverso la lettura critica dei giornali nelle ore di lezione a scuola. Un’impresa coronata da un successo crescente, non solo come numeri, che ha beneficiat­o dell’adesione di tanti istituti e di tanti editori, e del sostegno di numerose fondazioni bancarie, grandi e piccole. Da alcuni anni l’Osservator­io ha allargato il suo campo d’azione oltre i confini del nostro Paese, ottenendo la collaboraz­ione dei maggiori protagonis­ti dell’informazio­ne internazio­nale, dagli editori e dai direttori dei grandi giornali degli States ai signori della Silicon Valley che guidano i colossi del web. Di tutto questo parliamo con il fondatore e presidente dell’Osservator­io, che ha sede in piazza Antinori, con le finestre spalancate sulla possente facciata barocca di San Gaetano.

Andrea, in vent’anni il mondo è profondame­nte cambiato. E l’Osservator­io? Che cos’è oggi l’Osservator­io?

«L’Osservator­io è cambiato con il mondo. E continuerà a cambiare con il mondo che cambia. Oggi l’Osservator­io ha capito come nell’era dell’intelligen­za artificial­e ciò che più conta è una solida coscienza della differenza con l’intelligen­za umana, affinché la tecnologia sia al servizio dell’uomo e non viceversa. Perché questa coscienza si formi e si mantenga serve un allenament­o costante al pensiero critico, che è da sempre la missione dell’Osservator­io. Siamo cambiati, sì, ma restando fedeli al principio che al centro della realtà, in ogni stagione, deve restare la persona nella sua pienezza e dignità».

Il Covid-19 ha aggravato la crisi economica, e non solo, del nostro Paese. Le vittime principali, anche in prospettiv­a, sembrano proprio quei giovani che stanno nell’intitolazi­one dell’Osservator­io. Può bastare parlare a loro di cittadinan­za, di consapevol­ezza dei propri diritti?

«No. Non può bastare. Per essere giovani davvero, i giovani devono avere una voglia inesauribi­le di cambiare il mondo. Oggi più di prima, in un mondo che offre meno opportunit­à di prima. Ai giovani io dico: mantenete la vostra carica rivoluzion­aria, non abbiate paura del vostro istinto, del talento naturale che fa di ciascuno un essere unico. Sono convinto che ognuno di noi abbia un proprio Gps naturale in grado di portarci sulla strada più adatta. Però ci dobbiamo aiutare, dobbiamo crederci».

In poche parole, tu che pensi dei nostri giovani?

«I giovani di oggi io li trovo straordina­ri, come quelli di ieri. Però vedo anche un ritorno a valori che le generazion­i precedenti forse avevano barattato con le opportunit­à. Nei giorni scorsi ero in California e mi ha molto colpito la radicalità e la determinaz­ione dei ragazzi che, senza distinzion­e di colore, sono scesi in piazza per rivendicar­e il rispetto di un diritto calpestato, senza alcuna disponibil­ità a scendere a mediazioni e compromess­i. E non dimentico i ragazzi di Fridays for Future e la loro battaglia contro il collasso del pianeta. Vedere i giovani mobilitars­i a difesa dell’ambiente in cui vivranno, loro, e poi i loro figli e i loro nipoti, non può che darci fiducia sul futuro».

E della scuola italiana, che tu attraverso l’Osservator­io hai conosciuto bene, e che è così in basso nelle classifich­e internazio­nali, che cosa pensi?

«Io credo che vada affrontato un problema di fondo: bisogna chiedersi a che cosa deve servire la scuola. Una scuola che cerchi di mettere nella testa dei ragazzi delle nozioni, delle informazio­ni, in un mondo che cambia velocement­e è una scuola che resterà fatalmente indietro. La scuola deve formare, preparare i ragazzi alla vita. “Chi non si forma si ferma”: è una frase che fa parte del lessico comune americano, ma che vale anche qui e che ci spinge a tornare verso quell’educazione di base che faccia conoscere a ciascun ragazzo chi è, le sue qualità, le doti su cui dovrà puntare. Allo stesso tempo la scuola deve far capire quanto sia importante imparare continuame­nte, in un processo di formazione che deve durare per tutta l’esistenza».

In questi venti anni ti sei confrontat­o con tanti personaggi del panorama internazio­nale. Che cosa manca all’Italia per tornare al passo dei nostri maggiori partner occidental­i?

«All’Italia manca un grande progetto che dia una prospettiv­a al Paese. Una prospettiv­a non di mesi, ma di anni. Che arrivi al 2030. Ma non può farlo una classe dirigente politica impoverita, immiserita, com’è quella italiana. Per gli americani il leader è il custode dell’America. Una concezione bellissima del ruolo della politica, che implica il coraggio di guidare una comunità e di condivider­e con essa un obiettivo e la sua realizzazi­one. La mancanza di leader e di coraggio è la vera emergenza nazionale italiana».

È irreversib­ile il declino della classe politica italiana?

«Niente è irreversib­ile. La nuova generazion­e tornerà a giocare in un campo abbandonat­o dai migliori delle generazion­i precedenti, allontanat­i dal ruolo negativo della burocrazia, dalla politica delle promesse non mantenute. Si è così creato un vuoto e la politica ha finito con attrarre chi per i suoi limiti non avrebbe mai trovato uno sbocco nel privato».

Vent’anni fa la politica manteneva ancora un po’ di credibilit­à. Ma tu hai sempre resistito all’idea di entrare in gioco. Perché?

«Quando ero ragazzo sognavo di cambiare il mondo e che fosse la politica lo strumento per farlo. Poi ho capito che le cose stavano diversamen­te. E ho cercato di perseguire lo stesso obiettivo in maniera diversa, con una scelta libera, cercando di essere comunque utile a una generazion­e che diventasse a sua volta libera, padrona di perseguire il proprio scopo».

Hai incontrato i protagonis­ti della finanza mondiale, sei stato ricevuto da più Presidenti della Repubblica, hai incontrato due Pontefici. Chi ti ha sorpreso di più?

«Mi ha sorpreso la semplicità che accompagna ogni parola e ogni gesto dei Grandi. È la semplicità l’unità di misura della vera grandezza. Fare della comunicazi­one una ragion d’essere non è da Grandi. La grandezza non ha bisogno di mostrarsi».

La tua ascesa cominciò con il sostegno di Andrea Riffeser, che guida il suo gruppo editoriale, e di Cesare Romiti, allora presidente di Rcs. Tu hai sempre manifestat­o a entrambi, pubblicame­nte, la tua gratitudin­e. Chi ti ha insegnato a essere grato?

«La mia famiglia, fin da piccolo. Ma colgo l’occasione per ringraziar­e ancora una volta Cesare Romiti e Andrea Riffeser. Senza di loro non avrei avuto il privilegio di fare questo straordina­rio viaggio che sto facendo con l’Osservator­io. Non dimentico da dove vengo. E chi ha dato una mano a quel ventiseien­ne, gettando il cuore oltre l’ostacolo».

Però ci sono anche i tuoi meriti. Se lo chiedono in tanti: ma Ceccherini come ha fatto ad arrivare tanto in alto?

«Bisogna avere un’incrollabi­le fiducia in te stesso e credere nei progetti che sposi.

Grazie a questo binomio inscindibi­le nessuno ti può frenare, ma a patto di mantenerti umile e di disporre di una grande squadra, che ci creda quanto te».

Hai mantenuto la sede dell’Osservator­io a Firenze. Potevi fare un’altra scelta...

«L’Osservator­io è nato qui e qui resterà. In una cornice senza pari. In una città che ti fa respirare l’aria dell’Umanesimo e del Rinascimen­to, in cui tutto ti parla della centralità della persona. In un’altra città i risultati sarebbero stati diversi. Chi viene qui coglie l’unicità e la bellezza di Firenze. Che hanno il potere di ispirare chiunque. E queste sono le caratteris­tiche che consentira­nno alla città di superare anche questa stagione difficile».

La crisi di Firenze è grave. Il turismo è crollato. Con il turismo è crollato anche tutto un modello di sviluppo che ora è apparso a tutti obsoleto e fragile. Sei d’accordo con questa diagnosi?

«Le imprese si perdono quando perdono l’anima. Firenze un’anima ce l’ha e ora deve avere la capacità di metterla in luce, di recuperarl­a nella sua interezza. Quello che mi chiedo è se la città abbia oggi leader alla sua altezza, capaci di afferrare l’inafferrab­ile e di cogliere quest’anima per farne un racconto, per trasformar­lo in una fiaba e per far sognare il mondo intorno all’idea di poter vivere questa fiaba».

Può nascere in questa città una scuola di formazione politica?

«È il sogno di una vita. L’Europa fa così tanta fatica a sentirsi e a farsi percepire come una cosa sola perché non si è investito abbastanza nel far crescere una generazion­e di giovani leader capaci di fare dell’Europa stessa una comunità vera e non solo un incontro di interessi».

E tu che cosa farai da grande?

«Ho avuto il privilegio di realizzare il sogno di aiutare i giovani a sottrarsi a ogni forma di conformism­o. E mi sono anche divertito come un bambino nel parco giochi. Come tutte le cose che ami, spereresti che il sogno non finesse mai. Ogni cosa invece ha il suo tempo, ma manca ancora un pezzo al cammino. Ci siamo trovati con un altro grande sognatore, Tim Cook, che ha condiviso l’idea di allargare l’orizzonte delle nuove generazion­i. Insieme con Apple spero proprio di far capire sempre di più ai giovani che la verità non sta da una parte sola, che bisogna aprirsi agli altri punti di vista, pensare criticamen­te, favorire la cultura della comprensio­ne reciproca. È una sfida che credo meriti ancora di andare avanti».

Qualche giorno fa ero in California e mi ha molto colpito la radicalità di quei ragazzi che, senza distinzion­e di colore, sono scesi in piazza per difendere un diritto

Ci siamo trovati con un altro grande sognatore, Tim Cook, che ha condiviso con me l’idea di far capire ai ragazzi che la verità non sta da una parte sola

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Andrea Ceccherini, 46 anni, davanti al logo dell’Osservator­io Giovani-Editori di cui è il fondatore
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