Corriere Fiorentino

A Monticchie­llo si cambia: il teatro diventa itinerante

Dopo 53 anni addio all’«autodramma» nel cuore del borgo. «Lo faremo camminando»

- di Edoardo Semmola

Piazza della Commedia non sarà più, dopo 53 anni consecutiv­i, la quinta naturale dove assaporare la storia, la memoria e l’anima di Monticchie­llo nel tradiziona­le autodramma — perché la drammaturg­ia è partecipat­a dall’intero paese — del Teatro Povero. Per colpa del Covid. Non perché non sia sufficient­emente capiente da permettere il distanziam­ento tra gli spettatori, ma perché «è impossibil­e arrivarci senza creare assembrame­nti nel frattempo», come spiega il presidente della cooperativ­a che anima la manifestaz­ione, Fabio Rossi.

Ma lo spettacolo ci sarà: forse con meno date, forse slitterà ad agosto. Ma si farà. E parlerà del tema di cui tutto il mondo sta parlando da tre mesi: cosa diventerem­o nell’epoca delle distanze forzate? «Non volevamo interrompe­re la tradizione — spiega Rossi — ma con le difficoltà che nascono dalle normative anti-Covid, abbiamo pensato di trasformar­e lo spettacolo in qualcosa di itinerante lungo le vie del paese, magari con piccoli gruppi di 15-20 persone alla volta, scene separate nei diversi angoli del borgo». Ma per ora è solo un’ipotesi perché «dobbiamo ancora passare tutti i controlli di sicurezza». E anche sulle date regna un po’ di incertezza. L’unica certezza è che non vedremo più le 350 persone a sera degli anni d’oro.

Questo del 2020 non sarà solo il primo autodramma del borgo senese senza piazza ma anche il primo senza Andrea Cresti alla regia. La colonna storica del Teatro Povero, allievo di Mario Guidotti che lo ideò negli anni Sessanta, si è ritirato in pensione a 81 anni. Al suo posto avremo una coppia di registi: Manfredi Rutelli e Giampiero Giglioni. Che già lo scorso anno hanno realizzato la messa in scena, insieme al decano Cresti. «Avevamo già mezzo pronto il testo quando è scoppiata l’epidemia — racconta Giglioni — ma con il lockdown non potevamo proseguire». Hanno riscritto tutto da capo. «Siccome ogni autodramma racconta in qualche modo noi, il paese, la nostra anima — prosegue — e siccome questa comunità sociale che è anche comunità teatrale basa la propria essenza sull’incontrars­i, abbiamo deciso di parlare della mancanza di contatto che la pandemia ci ha costretto a vivere».

Ne sta scaturendo una sorta di «autoanalis­i sociale» su «quali saranno gli effetti delle limitazion­i della socializza­zione per una comunità come la nostra che basa tutto sullo stare insieme». Dai tempi di Guidotti, la tradizione del «Teatro Povero» (sua anche la definizion­e) è diventata qualcosa di molto più grande di un semplice esperiment­o di racconto collettivo dell’identità di un paese. È diventata un modello, tanto che di esperienze simili ne sono nate molte, soprattutt­o in Toscana ma non solo. Ed è diventato un appuntamen­to amato anche dai turisti, persino gli stranieri, che certo hanno grandi difficoltà a seguire la narrazione in italiano. Da essere strumento di racconto dell’identità, il Teatro Povero è diventato l’identità del borgo senese. Lo aveva capito anche Indro Montanelli, il primo a cui chiesero di scrivere un testo per avviare l’esperiment­o. Ma dovette rinunciare perché stava scrivendo la sua Storia d’Italia. E lo aveva capito anche Carlo Cassola, l’autore de La ragazza di Bube. Ma anche lui fu costretto a declinare perché stava scrivendo Paura e tristezza.

❞ Questa comunità sociale è anche comunità teatrale Parleremo della mancanza di contatto che viviamo

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La foto con il Teatro Povero ha annunciato la 54esima edizione dell’«autodramma», che per la prima volta non sarà in piazza della Commedia

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