Otto rimedi contro la malamovida (e l’immobilismo delle istituzioni)
Era fatale che succedesse. Le follie della movida avevano già passato da un pezzo il confine della tollerabilità, ma è stato il Covid a fare esplodere l’esasperazione dei residenti del centro: in un Paese in cui ancora non si sa quando e come riapriranno le scuole, in un centro storico che di giorno è un deserto, con migliaia di attività a rischio, perché si dovrebbero ancora subire le angherie di tutti i fancazzisti della notte (e delle prime luci del giorno) che mangiano, bevono, urlano e pisciano in ogni dove a piacer loro?
In Sant’Ambrogio sabato scorso qualcuno ha detto basta e ha lanciato uova dalle finestre. il popolo dello sballo ha risposto con minacce e bottigliate. Una questione di ordine pubblico, non più solo di decenza urbana. Eppure le istituzioni ancora nicchiano, prendono tempo, si riuniscono in vertici inconcludenti. Vorremmo capire il perché. Vorremmo capire perché si va nelle scuole a far lezione di legalità e poi si permette che la legalità venga irrisa platealmente ogni sera in spazi pubblici, sotto gli occhi di tutti.
A Palazzo Vecchio hanno perfino fatto l’errore di rilanciare per la terza volta la figura del vigile di quartiere. Scelta inqualificabile, per usare un’espressione elegante, dopo che l’esperienza è sempre,
❞ Vorremmo capire perché si va nelle scuole a far lezione di legalità e poi si permette che la legalità venga irrisa platealmente ogni sera in spazi pubblici sotto gli occhi di tutti
regolarmente, fallita. E poi sindaco e assessori sono mai capitati nelle vie della movida? Le hanno mai viste con i loro occhi e sentite con le loro orecchie? Hanno un qualche sentore del potenziale di violenza che si avverte in Borgo La Croce, in Oltrarno, in piazza della Repubblica, in via dei Servi, per non parlare delle strade vocate allo spaccio come via Palazzuolo? E lì che ci farebbe il vigile di quartiere? Forse un drink anche lui? Non scherziamo: se è questo il primo atto del nuovo comandante della polizia municipale, non c’è da sperare in alcun serio cambiamento nel rapporto tra la città e quelli che ufficialmente sarebbero ancora i suoi vigili, i suoi custodi.
L’immobilismo non dipende dall’impossibilità di fare alcunché. Magari servirebbero un po’ di lucidità e un po’ di coraggio. Perché i gestori dei pub sono una lobby potente e nel palazzo il loro peso si sente, non solo tra le file della maggioranza. Ma un sindaco al secondo mandato, senza la prospettiva di doversi ripresentare alle elezioni ed essere riconfermato, non sarebbe forse nella posizione ideale per mandare a stendere assessori e consiglieri fautori dello status quo, e perseguire con i fatti l’interesse generale della città? Nessuno vuole ridurre nessuno al silenzio, nessuno vuole che Firenze si addormenti dopo «I soliti ignoti», nessuno vuole mandare alla rovina a chi lavora nell’industria della notte. Ma vanno stabilite delle regole. Precise e chiare. E poi vanno fatte rispettare, se serve anche con sanzioni pesanti. Senza farsi irretire preventivamente dalle decisioni spesso sciagurate del Tar. E se nel frattempo arriverà lo scudo anti Tar chiesto ieri dai sindaci al ministro Lamorgese tanto meglio.
1. Si deve tentare di anticipare i tempi della movida. Imponendo a tutti i locali di qualsiasi genere la chiusura all’una. Pena multe salate.
2. Si deve impedire l’asporto di alcol, con ogni mezzo. Si consuma ai tavoli o in piedi, ma non fuori dal perimetro dell’esercizio.
3. Si deve impedire ai minimarket di fare i fornitori di bevande alcoliche che vengono consumate nelle piazze (e i minorenni sono degli specialisti in materia) impedendone la vendita a chiunque dalle 19 in poi.
4. I locali devono far rispettare il distanziamento (e l’uso alternativo delle mascherine) ai loro clienti con steward in servizio permanente (e chi non fa rispettare la norma ne risponde).
5. Le piazze e le strade della movida devono essere presidiate, e non simbolicamente, da vigili e forze dell’ordine. Dopo l’una piazze e strade si lavano energicamente e tutti a casa.
6. Occorre preservare a ogni costo gli spazi sacri (sagrati) davanti alle chiese e alle basiliche, senza di nuovo ipotizzare soluzioni risibili come piante o cordoni mobili: o si evitano i bivacchi per il timore di dovere pagare pegno o si autorizza la costruzione di quelle cancellate che non piacciono alla sinistra da salotto, attenta solo all’intangibilità del proprio vetusto anticlericalismo.
7. Si aprano tutte le latrine pubbliche nelle zone della movida e si riduca il costo a una cifra simbolica (adesso per andare in un bagno, se aperto, si paga un euro: è troppo).
8. Il Comune istituisca un numero breve (si ricorda la sua promessa assessore Gianassi?) per le segnalazioni urgenti dei cittadini, con obbligo di risposta celere e divieto assoluto di rispondere che «non ci sono mezzi a disposizione» o che «arrivano troppe segnalazioni»: i soliti giochetti in uso da anni. Le telefonate devono essere registrate. Obbligatoriamente. Una sorta di scatola nera dell’inefficienza. O del contrario: non dipende da noi.