IL MALE DA CURARE NEL CASO FLOYD
l clima era stato impietoso in quella primavera di fine ‘700. La povertà dei raccolti aveva ridotto alla fame i contadini. Le politiche economiche di Luigi XVI si erano rivelate fallimentari.
La carestia aveva fatto montare la rabbia popolare e il re aveva schierato l’esercito intorno a Versailles. Il popolo stremato insorse: il 14 luglio 1789 la Bastiglia bruciò, e divampò anche l’incendio politico, il «fuoco» della rivoluzione. La storia si ripete, sempre. Perché? La risposta è sorprendentemente semplice: l’uomo, attore protagonista della storia, non è biologicamente cambiato in modo significativo durante i millenni. E quindi, al netto dei vari contesti, certe vicende finiscono per somigliarsi tutte, dato che le leggi scientifiche che regolano il comportamento umano sono rimaste costanti. Appena usciti dal lockdown, dopo l’emergenza Covid-19, scrutiamo il panorama della cronaca estera e scopriamo «in fiamme» il Paese che nell’ultimo secolo si è proposto al mondo come la punta di diamante dell’Occidente. Negli Stati Uniti il virus miete moltissime vittime, la situazione economica è disastrosa, e per le strade esplodono rivolte e incendi. Il diavolo, come sempre, sta nei dettagli. Che sia il grido di Masaniello o l’episodio manzoniano della gerla di pane, ogni epoca lascia traccia di sé nella goccia che fa traboccare il vaso. È lì la chiave di volta. Nel nostro caso, il primum movens sta nella triste vicenda di George Floyd. Afroamericano, arrestato per un crimine triviale (a quanto pare una banconota forse contraffatta), è stato soffocato durante l’arresto, davanti a testimoni, nonostante non avesse opposto resistenza alle procedure messe in atto dai poliziotti. Questo terribile avvenimento segna una presidenza conservatrice fortemente polarizzante come quella di Trump, che si è fatto amare od odiare ma mai accettare. E quindi, dopo tweet al vetriolo e scelte politiche azzardate, sono esplosi moti popolari, rivolte, saccheggi cui si è risposto con una dura repressione, fomentando gli scontri. Non è un caso che tutto ciò avvenga in un momento in cui le maggiori economie soffrono a causa di una crisi di lunga durata, a cui si sommano gli effetti devastanti (sia sulla popolazione che sui portafogli) della recente pandemia virale. Così scoppia la scintilla, generata dalla questione razziale, grosso nodo irrisolto in quest’epoca di grandi migrazioni ed enormi incertezze. L’uccisione a sangue freddo di Floyd, il video virale che la ha immortalata, le reazioni scomposte della politica, la pessima gestione dell’emergenza sociale che si è trasformata in escalation di violenze fra popolazione e forze dell’ordine sono i fattori che alimentano i disordini, difficilmente riconducibili a ragione e logica. A mio parere, l’aspetto culturale di questa vicenda, vale a dire la difficoltà di realizzare una società autenticamente multietnica e multiculturale (che nascondiamo sotto un’intollerabile e impacciante senso del politicamente corretto), è la sfida che ci attende come cittadini del nuovo millennio. Ma essa non costituisce, si badi bene, la spiegazione immediata del tragico spettacolo a cui stiamo assistendo. Occorre fare un passo indietro. Nella «terra dei liberi», dove chiunque può procurarsi un arma per il «diritto» di proteggere sé stesso, la propria famiglia e i propri beni (come in certi film di John Wayne), la vita quotidiana è fortemente ipotecata da una seria e onnipresente minaccia di violenza. Si sa poco sui due poliziotti che hanno ucciso Floyd (a parte che uno dei due, pare, lo conoscesse). Ma non mi risulta difficile osservare che, se già nella molto meno turbolenta Europa quello del pubblico ufficiale è un mestiere a rischio di burnout, negli Stati Uniti, con la sanità privatizzata, la situazione deve essere tremendamente sottostimata e esplosiva. Basta una minima ricerca per scoprire come il dibattito relativo alla violenza da parte delle forze dell’ordine, troppo spesso al centro di esecuzioni sommarie, torture e abusi, sia un tema estremamente caldo. Quale meccanica dell’animo è qui in azione? Io credo che la patologia correlata allo stress post-traumatico sia una pista da indagare, oggi più che mai. Esiste, in quel Paese, la minaccia, concreta e immediata, di eventi quotidiani che possono mettere a rischio la vita. Nei grandi centri urbani, i poliziotti sono bersagli per i malviventi (e viceversa): le strade sono teatro di una vera e propria guerra civile. La liberalizzazione delle armi da fuoco, insomma, alza l’asticella dello scontro: se un cittadino armato vuole contestare una multa, e ha una pistola carica nel cruscotto, la situazione si fa pericolosamente tesa. In assenza di un programma assistenziale gratuito e universale, nei gruppi a rischio, fra cui la ricerca scientifica individua le forze dell’ordine, il disturbo psichico viene sottodiagnosticato, mal trattato o direttamente trascurato. Gli individui affetti manifestano disturbi neurovegetativi, ricordi intrusivi, alta sofferenza e — qui arriva un aspetto cruciale — disturbi del comportamento e del controllo degli impulsi, fino alla messa in atto di agiti auto ed etero lesivi che non si osserverebbero se fossero adeguatamente supportati e trattati. Quando le circostanze contestuali precipitano (si pensi alla pandemia ed alla crisi economica), la questione si fa complessa, perché il vivere in una situazione costante di pericolo, anche nei civili, può innescare spirali di violenza. La domanda, inquietante, da porci allora è un’altra. Quanto del male che vediamo in questi giorni si sarebbe potuto prevenire? Forse la storia si sarebbe ripetuta anche in un diverso contesto, ma con diversa intensità: un arresto non letale, proteste pacifiche, e così via. Come non muta il codice di base umano, non ci sono differenze che tengano: siamo tutti homo sapiens, nel bene così come, purtroppo, nel male.
❞ In assenza di un programma assistenziale gratuito e universale, nei gruppi a rischio, fra cui ci sono le forze dell’ordine, il disturbo psichico viene sotto diagnosticato, mal trattato o direttamente trascurato