MA DAI POLITICI CHI CI SALVERÀ?
L’Italia, il disegno per il 2030, il rilancio di Firenze come fiaba: la discussione prosegue
Andrea Ceccherini e Lorenzo Bini Smaghi, nelle interviste sul Corriere Fiorentino di domenica e martedì, dubitano delle capacità della classe politica, nazionale o locale che sia. Di sicuro hanno ragione, ma niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, se non fosse che la situazione in cui ci ha condotto la pandemia e quella che ci aspetta nel prossimo futuro impongono classi dirigenti diverse dalle attuali.
I motivi della decadenza di cui si discute, anche negli interventi citati, sono tanti e sono in parte gli stessi e in parte diversi su un piano nazionale e uno locale. È vero, come dice Ceccherini, che la politica attrae chi per i suoi limiti non avrebbe trovato sbocco nel privato? Si tratta di sicuro di qualcosa che corrisponde alla verità e che riguarda l’insieme delle forze politiche (non solo i Cinque Stelle, per capirsi) oggi in campo, ma non chiarisce tutto ciò che è successo dall’inizio degli anni ’90 ad oggi.
La mediocrità era largamente presente anche nei partiti della prima Repubblica, ma sia sul piano locale che nazionale (con tutti i difetti e i limiti che vogliamo) alla fine non dominava totalmente il campo, come oggi succede. Per un semplice motivo: la competizione era determinante sia all’interno dei partiti, sia nel momento del confronto elettorale fra i partiti ed esigeva una preparazione adeguata, per le stesse carriere individuali. In un modo diverso per ciascuno dei partiti in campo, la capacità intellettuale, la conoscenza dei fatti, l’esigenza di apprendere costituivano una condizione indispensabile per fare parte, a qualsiasi livello, non della militanza, ma della classe dirigente della forza politica in cui si militava, appunto. La politica imparava anche a conoscere i propri limiti e a saper utilizzare le competenze altrui, sia che si governasse un
Comune dell’aretino, sia che dovesse affrontare un provvedimento legislativo nazionale.
La competenza della politica è una disciplina particolare che sa rispettare le altre competenze, ma che alla fine è in grado di decidere per tutti: è la capacità di essere leader e nella prima parte della storia repubblicana di leadership riconoscibili ce ne furono da tutte le parti. Non era tutto oro che luccicasse, ovviamente: infatti finì male.
Oggi, però, non c’è più traccia di una competizione politica basata sulla consapevolezza del ruolo di governo a cui si aspira, fondata sui valori, sulla conoscenza della storia che ci porta individualmente e collettivamente a compiere determinate scelte invece che altre. Un tempo pesavano in maniera negativa le diverse ideologie ed era giusto superarle, ma così non è stato: la politica è andata a sbattere contro il discredito spontaneo o in gran parte costruito che l’ha circondata in questi decenni e per forza di cose è finita nelle mani di una dilagante mediocrità.
Di sicuro la situazione derivata dal Covid-19 impone che qualcosa cambi e forse, come in tutti i crinali di crisi epocali, qualcosa di positivo succederà. Forse sul piano nazionale il populismo e l’antieuropeismo diminuiranno la loro presa, vedremo, ma intanto la decadenza della politica e l’assenza di leadership la fanno da padrone anche per quello che riguarda Firenze e la Toscana. Quel modo di essere della politica di un tempo che ho ricordato prima è certamente ancora presente nella memoria delle generazioni meno giovani e in qualche modo ancora si rappresenta in qualche rappresentante più vintage della classe politica locale.
In realtà, come si vede anche nella discussione pubblica attuale sul futuro di Firenze e della Toscana, siamo ben lontani dall’osservare una classe dirigente politica che riesca a porsi come guida, che abbia la capacità di superare le lamentazioni, di non vestirsi di retorica umanistica o rinascimentale che da queste parti sono sempre un usato sicuro, quanto inutile. Non so se la suggestione di Ceccherini su leader che sappiano afferrare l’inafferrabile, ritrovare l’Anima di Firenze e costruire una nuova fiaba per il mondo, ma non solo per i turisti, non rischi di trovarsi gomito a gomito con la nostalgia di Michelangelo e Botticelli, però qualcosa di vero c’è. La verità di un tentativo che va fatto per dare l’idea che un cambiamento è indispensabile e che questo non avrà senso e possibilità di essere realizzato se non attraverso personalità che, per il valore universale della città che si trovano a governare, sappiano andare oltre la dimensione locale, essere leader in una parola.
La stessa cosa vale per la Toscana che rappresenta un altro bene insostituibile per l’Europa e il mondo. Che cosa ci si può aspettare, però, da una situazione politica regionale in cui il confronto, quella che ho chiamato competizione nutrita di competenze (politiche s’intende), di consapevolezza storica e di capacità di comprendere il nuovo, rischia di non esserci nemmeno volendo per mancanza di concorrenti? Eugenio Giani non ha avuto concorrenti interni al Pd per essere designato candidato alla presidenza, prima dell’arrivo del virus. All’inizio della pandemia e dopo le elezioni in Emilia-Romagna, dopo una lunga latitanza, il centrodestra sembrava aver scelto Susanna Ceccardi, salviniana di ferro, poi il silenzio della pandemia: ora sembra che tutto cambi. Dunque: Giani rischia di non avere avversari, per sfortuna della politica in Toscana, perché dove non c’è competizione è difficile che chi la fa si ponga il problema della decadenza della stessa.
❞ La competenza della politica è una disciplina particolare che sa rispettare le altre competenze Oggi però non c’è più traccia di una competizione politica basata sulla consapevolezza del ruolo di governo