Parte da Firenze la lettera-appello per gli Atenei aperti a settembre
Ottocento i firmatari, ma Dei: al momento la soluzione è la didattica mista
Tornare all’Università, ma come? Tutti insieme, in aula, non si potrà. Gli studenti faranno i turni? L’Ateneo cambierà orari? Il dibattito è aperto, a livello nazionale come locale. Lo hanno iniziato ottocento tra docenti, ricercatori, studenti e lavoratori di quasi tutte le università italiane — capitanate da Firenze, Padova e Roma — che hanno scritto una lettera aperta al ministro Gaetano Manfredi e alla conferenza dei rettori, in cui sostengono che l’Università «a distanza» non è un’opzione.
Perché, sottolineano l’Università è innanzitutto «presenza fisica» e rapporto tra studente, docente, luogo di studio. «La didattica on line è accettabile, anzi benvenuta, per un breve periodo di emergenza — si legge nell’appello — ma l’insegnamento è un’altra cosa. Quella che è in discussione è l’esistenza stessa delle Università». «Il progetto del ministero — spiega Emilio Santoro, ordinario di Filosofia del diritto a Firenze, tra i promotori del documento — è quello di far rientrare nelle facoltà solo un terzo degli studenti a settembre, e i restanti due terzi a marzo 2021. Scelta che è addirittura peggio dell’eventualità di rimanere tutti a distanza».
Il rettore dell’Ateneo fiorentino, Luigi Dei, condivide lo spirito dell’iniziativa. Ma con alcuni distinguo. Anzi ne condivide «l’ideologia» ovvero che «l’Università sia presenza e non distanza» ma, spiega, «mentre i firmatari si limitano a un ragionamento generale, culturale, e non devono confrontarsi con gli scogli pratici della ripartenza, a me tocca farlo». È qui che arrivano i distingui rispetto alla richiesta diretta di riportare gli studenti nelle aule. «Al momento dobbiamo sottostare al limite di un metro di distanziamento interpersonale — sottolinea il rettore — e se a settembre la soglia dovesse scendere a mezzo metro potrei riuscire a garantire un rientro quasi normale nelle facoltà». Ma ad oggi deve fare i conti con quel «se». «Per riuscirci con le regole attuali stiamo studiando vari modi: o rivediamo l’orario o operare delle turnazioni».
Ipotesi numero uno? «Portare da 8 a 12 gli slot giornalieri di lezione — risponde Dei — facendo in questo modo: nella fascia oraria dalle 8.30 alle 13 finora esistevano 4 slot di 45 minuti ciascuno con il quarto d’ora accademico e andrebbero portati a 6 composti da 40 minuti ciascuno con 10 di pausa. Così le due ore classiche di di lezione diventerebbero di un’ora e 20 più 10 minuti di intervallo prima e 10 dopo». Soluzione che «ci farebbe guadagnare un po’ aule». Un’altra ipotesi sarebbe «lasciare alterate le classi a bassa frequenza come quella di Mineralogia dove tutti e 90 gli studenti potrebbero coesistere, e creare dei turni in quelle come Chimica dove ho sempre l’aula piena di 120-130 portandoli a 50-60 e dividerli in due turni: metà semestre con metà degli alunni in presenza e metà a distanza e l’altra metà semestre a parti invertite». Nessuna delle due ipotesi a cui Lugi Dei sta lavorando però risolve il problema degli spazi comuni: come fare con le mense e le biblioteche?
Il rettore dell’Università di Firenze apprezza il principio che ha ispirato la lettera aperta «ma credo nella strada della didattica mista e ci stiamo rimboccando le maniche perché ci siano soluzioni efficaci». Nel frattempo, nonostante la lettera degli ottocento tenga insieme tante università diverse, «ogni Ateneo sta procedendo da solo — avverte il rettore — al Politecnico di Torino sembra che vogliano ancora tenere tutti a distanza, a Pisa apriranno pochissime classi. Non c’è unità d’intenti nemmeno tra i vari Atenei».