Uffizi, condanna bis per i bagarini del web
La corte dell’Arizona: dovranno risarcire il museo dei costi sostenuti durante il processo
Uffizi contro bagarini americani: 2-0. Partita finita e vittoria fiorentina. Prima c’era stata la pronuncia della corte federale dell’Arizona, lo scorso febbraio, che aveva punito i siti di bagarinaggio on line che si erano «appropriati» di domini web che potevano far cadere nel dubbio i visitatori che fossero quelli ufficiali del museo. Sentenza che aveva imposto lo stop al loro utilizzo in quanto solo i veri Uffizi erano titolati a usare il nome «Uffizi». Ora, quattro mesi dopo, arriva la seconda parte della condanna da parte della medesima corte: la società BoxNic Anstalt, titolare di quei domini ritenuti ingannevoli come uffizi.com, uffizi.net, uffizigallery.com, uffizigallery.org, dovrà versare 120 mila dollari (circa 106 mila euro) al museo fiorentino per le spese legali sostenute.
Per il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, è « la conferma definitiva della prima grande vittoria contro i vampiri del web, ora avanti nella lotta», ricordando come quella società avesse usato per anni il nome «Uffizi» per vendere pacchetti di visita e biglietti a prezzi maggiorati. E di quanto sia esteso e grave il fenomeno del secondary ticketing, che negli anni ha vessato sia il mondo dei musei che quello degli spettacoli dal vivo. Ma l’importanza di questa pronuncia non risiede solo nel valore economico della contesa o in quello legato al «brand Uffizi»: non a caso la Corte Federale dell’Arizona ha dichiarato il «superiore diritto del museo» rispetto alla società ad usare nome, marchio e logo degli Uffizi. L’importanza sta anche nel fatto che mai prima d’ora il ministero dei Beni Culturali italiano si era trovato ad affrontare una battaglia giudiziaria internazionale su questo fronte. E la vittoria, a cavallo tra due sistemi giuridici tanto differenti, non era scontata.
«Nel sistema giuridico americano è raro che il giudice condanni al pagamento delle spese legali del procedimento, ma — prosegue soddisfatto Schmidt — secondo i magistrati federali dell’Arizona stavolta ciò è giustificato dalla gravità del comportamento della nostra controparte». Che è stata riconosciuta colpevole dei reati di cybersquatting (letteralmente: occupazione abusiva di spazio informatico), violazione e sfruttamento del marchio e concorrenza sleale.
La tesi difensiva degli avvocati della BoxNic Anstalt verteva sull’ipotesi che il nome «Uffizi» non fosse il nome «proprio» del museo fiorentino ma la versione arcaica del nome comune «uffici». Nel respingere questa tesi come pretestuosa, la corte americana ha dunque riconosciuto e ancor più valorizzato la parola «Uffizi» come marchio internazionalmente identificabile.
Eike Schmidt «Questa è la conferma definitiva della prima grande vittoria contro i vampiri dei siti falsi, noi andremo avanti nella nostra lotta»