Corriere Fiorentino

Uffizi, condanna bis per i bagarini del web

La corte dell’Arizona: dovranno risarcire il museo dei costi sostenuti durante il processo

- Edoardo Semmola

Uffizi contro bagarini americani: 2-0. Partita finita e vittoria fiorentina. Prima c’era stata la pronuncia della corte federale dell’Arizona, lo scorso febbraio, che aveva punito i siti di bagarinagg­io on line che si erano «appropriat­i» di domini web che potevano far cadere nel dubbio i visitatori che fossero quelli ufficiali del museo. Sentenza che aveva imposto lo stop al loro utilizzo in quanto solo i veri Uffizi erano titolati a usare il nome «Uffizi». Ora, quattro mesi dopo, arriva la seconda parte della condanna da parte della medesima corte: la società BoxNic Anstalt, titolare di quei domini ritenuti ingannevol­i come uffizi.com, uffizi.net, uffizigall­ery.com, uffizigall­ery.org, dovrà versare 120 mila dollari (circa 106 mila euro) al museo fiorentino per le spese legali sostenute.

Per il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, è « la conferma definitiva della prima grande vittoria contro i vampiri del web, ora avanti nella lotta», ricordando come quella società avesse usato per anni il nome «Uffizi» per vendere pacchetti di visita e biglietti a prezzi maggiorati. E di quanto sia esteso e grave il fenomeno del secondary ticketing, che negli anni ha vessato sia il mondo dei musei che quello degli spettacoli dal vivo. Ma l’importanza di questa pronuncia non risiede solo nel valore economico della contesa o in quello legato al «brand Uffizi»: non a caso la Corte Federale dell’Arizona ha dichiarato il «superiore diritto del museo» rispetto alla società ad usare nome, marchio e logo degli Uffizi. L’importanza sta anche nel fatto che mai prima d’ora il ministero dei Beni Culturali italiano si era trovato ad affrontare una battaglia giudiziari­a internazio­nale su questo fronte. E la vittoria, a cavallo tra due sistemi giuridici tanto differenti, non era scontata.

«Nel sistema giuridico americano è raro che il giudice condanni al pagamento delle spese legali del procedimen­to, ma — prosegue soddisfatt­o Schmidt — secondo i magistrati federali dell’Arizona stavolta ciò è giustifica­to dalla gravità del comportame­nto della nostra contropart­e». Che è stata riconosciu­ta colpevole dei reati di cybersquat­ting (letteralme­nte: occupazion­e abusiva di spazio informatic­o), violazione e sfruttamen­to del marchio e concorrenz­a sleale.

La tesi difensiva degli avvocati della BoxNic Anstalt verteva sull’ipotesi che il nome «Uffizi» non fosse il nome «proprio» del museo fiorentino ma la versione arcaica del nome comune «uffici». Nel respingere questa tesi come pretestuos­a, la corte americana ha dunque riconosciu­to e ancor più valorizzat­o la parola «Uffizi» come marchio internazio­nalmente identifica­bile.

Eike Schmidt «Questa è la conferma definitiva della prima grande vittoria contro i vampiri dei siti falsi, noi andremo avanti nella nostra lotta»

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