Corriere Fiorentino

NON USATE MONTANELLI

Musei che riaprono Aspettando la ripartenza di Casa Buonarroti in compagnia di Cristina Acidini «Commuove la sua Madonna della Scala . Un omaggio alla mamma persa da bimbo e fatta a soli 15 anni»

- Di Paolo Ermini

Ebravi questi Sentinelli milanesi che spalleggia­ti dall’Arci e da parte del Pd meneghino vorrebbero togliere il nome di Indro Montanelli dai giardini che gli sono stati dedicati accanto a via Palestro, togliendo anche la statua che lo ricorda, chino sulla sua mitica «Lettera 22». La causa dell’auspicata rimozione sarebbe la storia del «matrimonio» di Montanelli con la dodicenne etiope ai tempi della guerra d’Africa. Un caso che è emerso più volte dalla cronaca, ripescato da chi vorrebbe appiccicar­e a Montanelli un’etichetta di indegnità morale.

Pur di trovare un proprio bersaglio per partecipar­e, con un feticcio da esporre, alla sacrosanta campagna anti razzista cominciata in America dopo la morte di George Floyd, i Sentinelli hanno scelto Indro. Avrebbero fatto meglio a rifletterc­i un po’ di più. Quell’episodio della sua vita Montanelli non lo ha mai tentato di nascondere. Ne ha sempre parlato serenament­e, perchè quella era una tradizione locale che lui come tale aveva vissuto, senza mai sentirsi un persecutor­e, l‘approfitta­tore di una ragazzina. Ora tutto sarebbe diverso, certo. In meno di un secolo il mondo si è capovolto, e non una volta sola. Anche nella cultura e nella mentalità comune. In Italia e non solo. Ma il come eravamo nel 1934 è sufficient­e per condannare adesso Montanelli giudicando­lo con il metro di giudizio della contempora­neità?

Ai milanesi potremmo dire: la statua datela a noi, se vi crea disagio. Ma sarebbe un errore. Quel Montanelli che scrive non si sa che cosa sta dove deve stare: nel parco dove andava abitualmen­te a passeggiar­e, nella città dove lui aveva imparato a fare il giornalist­a e a farlo bene — al Corriere della Sera, al Giornale, alla Voce e poi di nuovo al Corriere — attento a restare lontano il più possibile da Roma e rifiutando ogni tentazione o offerta politica. Ora Montanelli riposa nel cimitero della sua Fucecchio, culla della sua toscanità. Cioè di quel gusto dell’ironia e di quell’amore per il parlar chiaro che si era portato dentro quando se n’era andato dalla sua casa di Perinsù (la parte alta, e nobile, di Fucecchio) per fare il suo mestiere là doveva meglio avrebbe potuto farlo. Da inviato, da direttore e alla fine anche da consulente degli italiani dentro la sua «Stanza» quotidiana nel giornale di via Solferino. Una stanza metaforica che era una palestra vera di educazione civica e politica, di coerenza, di onestà intellettu­ale. Una cattedra di semplicità.

Nella casa fiorentina che porta il suo nome Michelange­lo non soggiornò mai. Almeno non nel palazzetto oggi conosciuto come Museo di Casa Buonarroti e che, nella forma attuale — su tre livelli — fu edificato all’inizio del ‘600 dal pronipote del grande artista, Michelange­lo il Giovine. Nel 1508, però, poco più che trentenne, proprio dove c’è la Casa-Museo, lui stesso aveva comprato da Santa Maria Nuova, del terreno e un agglomerat­o di case per farne dono alla sua famiglia e «per lo mio abitare». E qui, all’angolo tra via Ghibellina, al numero 70, e via Michelange­lo Buonarroti —ma ai suoi tempi si chiamava via dei Marmi sudici il che la dice lunga su quanto la frequentò lo scultore— l’artista faceva base quando, da Roma o Bologna, tornava a Firenze. Fino al 1534, dopo non la vide più.

Tra eredi e vicende testamenta­rie la casa ha avuto varie vicissitud­ine. Come Museo esiste dal 1858 anche se si dovette aspettare il 1964 per restaurarl­a in toto dopo aver convinto gli ultimi inquilini a lasciare gli appartamen­ti. Proprietà di una Fondazione che oggi è presieduta da Cristina Acidini, oggi è pronta a riaprire «entro l’estate, occorrerà ancora qualche settimana» ci dice la storica dell’arte ed ex soprintend­ente del Polo museale Fiorentino, «rispettand­o gli standard di sicurezza. Tra l’altro contiamo di organizzar­e — aggiunge — una mostra dedicata al pronipote, Michelange­lo il giovane». Un progetto che sta prendendo corpo, ma adesso per la signora dell’arte a Firenze è più impellente «far conoscere alla città questo luogo, che di norma è più frequentat­o da stranieri, soprattutt­o americani, che da fiorentini».

Al piano terra, con affaccio su via Ghibellina, racconta la nostra guida, «c’è un piccolo cortile dove ogni tanto si organizzan­o concerti e recite e delle sale che custodisco­no dipinti, sculture, maioliche, reperti archeologi­ci, opere di varia provenienz­a ed epoca». Al piano nobile si racchiude la collezione e la parte museale più importante su cui ci soffermere­mo più a lungo con Cristina Acidini. Ma non si pensi che al piano ancora superiore, ci sia roba da poco: «Qui c’è il caveau che custodisce la più grande collezione al mondo di disegni, 200, studi e scritti di Michelange­lo, le sue poesie, le lettere dei suoi committent­i, i suoi appunti». Da perderci la testa a poterli

❞ È una figura tenerissim­a che contiene il figlio poggiato al petto anche se non sembra allattarlo Il l velo, riverso sulle spalle, in pochi millimetri,r estituisce pieghe, increspatu­re, orli, in maniera strepitosa

vedere e studiare. Anche se, com’è ovvio, si tratta di materiali così delicati da dover essere custoditi al buio a temperatur­a e umidità costanti. Solo una parte di essi, a rotazione, viene esposta al pubblico.

È scendendo di sotto, al piano nobile, però, che l’understate­ment della storica dell’arte vacilla. Davanti alla Madonna della Scala che — a parte la testa di fauno di cui poco o nulla si sa, non si conosce neanche il posto dove dovrebbe trovarsi — è la prima opera nota dell’artista, databile intorno al 1491 e relativa al periodo in cui il giovane Michelange­lo frequentav­a la Scuola di San Marco di Lorenzo il Magnifico». Cristina Acidini si commuove iniziando la descrizion­e dell’opera che è piuttosto un racconto. «È un bassorilie­vo in marmo che già per l’uso dello “stiacciato” — vale a dire, dell’assottigli­amento degli spessori fino a che diventano un puro segno grafico — rende omaggio a Donatello, inventore di quella tecnica di cui lui riprese e rielaborò temi e stile pur reinterpre­tandoli in chiave modernissi­ma. Mi incanta pensare che venga fuori dall’ingegno di Michelange­lo appena quindicenn­e e averla qui è un privilegio. Per altro averla esposta nello stesso luogo dove c’è il rilievo de La Battaglia dei Centauri, (di un anno posteriore ndr) ci mostra come l’artista sapesse già allora affrontare tecniche e generi diversi e spostasse il suo sguardo a temi sacri e mitologici». In quegli anni la sua curiosità, già pungolata dall’esperienza in bottega dal Ghirlandai­o, era stimolata da personaggi come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, il Poliziano. «La Madonna — prosegue Acidini — è un concentrat­o del suo

Capolavori

Sopra in primo piano il volto, il velo e il bimbo riverso sul petto, della «Madonna della Scala», a sinistra il Museo di Casa Buonarroti all’esterno, sotto «La Battaglia dei Centuri» genio. Intanto la scelta del soggetto fa pensare a un omaggio alla maternità e ci riporta al grande dolore del suo artefice che perse la madre quando aveva appena 6 anni. È una figura tenerissim­a che contiene il figlio poggiato al petto anche se non sembra allattarlo. Molto originale è la scelta di presentare di profilo la figura di Maria il cui sguardo, rivolto in avanti, fa pensare alle sue capacità profetiche, come se conoscesse già a quale destino andrà incontro il piccolo. Altrettant­o straordina­ria è la lavorazion­e del velo che, riverso sulle spalle come non si era mai visto, con pochi tratti e in pochi millimetri, restituisc­e pieghe, increspatu­re, orli, in una maniera strepitosa. Anche l’ambientazi­one è molto interessan­te. La Vergine è assisa su un sedile cubico molto sporgente rispetto al resto della composizio­ne e accanto a 5 gradini, appena abbozzati, alla cui sommità due bambini sembrano intenti a fare qualcosa con un altro bimbo che intravedia­mo alle sue spalle. Forse si tirano un panno — prosegue — il che farebbe pensare a un sudario e dunque a un’altra allusione al futuro di Cristo».

Quest’opera, che in pochi a Firenze conoscono Cristina Acidini l’ha osservata a lungo. «E — conclude — mi sono convinta che sia stata fatta per essere vista dal basso. Per questo i piedi dei bimbi sopra le scale sono appena abbozzati, per questo uno dei due piedi di Maria è rovesciato». Una visione con lo sguardo rivolto verso l’alto cui è invitata tutta Firenze.

4. Continua. Le precedenti puntate sono uscite il 19 e il 26-5 e il 2-6 2020.

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● Con la storica dell’arte e presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno
Cristina Acidini un viaggio alla riscoperta dei
luoghi d’arte dopo chiusura Oggi ritorniamo al Museo di Casa Buonarroti per la cui riapertura bisogna attendere ancora qualche settimana
La serie ● Con la storica dell’arte e presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno Cristina Acidini un viaggio alla riscoperta dei luoghi d’arte dopo chiusura Oggi ritorniamo al Museo di Casa Buonarroti per la cui riapertura bisogna attendere ancora qualche settimana
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