«I politici portino in fondo progetti e infrastrutture»
La presidente della storica azienda vinicola «Servono regole, creatività e un turismo più alto»
«A Firenze serve l’aeroporto, alla Toscana le infrastutture e un turismo di qualità. I politici portino fino in fondo le idee». Albiera Antinori presidente della Marchesi Antinori, interviene nel dibattito sul futuro della città dopo il covid.
Una crisi di proporzioni inattese, un’azienda quasi del tutto ferma, un mercato interno cancellato. Eppure, Albiera Antinori, presidente di una società come la Marchesi Antinori che porta avanti la tradizione di famiglia della produzione dei vini lunga più di 600 anni, dopo i mesi del lockdown trova molti motivi per guardare al futuro con ottimismo. Ma ha anche molto da chiedere alla politica, da quella nazionale, a quella regionale, fino a quella fiorentina: non solo le infrastrutture, ma anche «il coraggio e la forza di portare a compimento idee e progetti».
Albiera Antinori, si aspettava che il coronavirus potesse provocare tante vittime e tanti disastri economici e sociali?
«No, assolutamente. All’inizio mai avrei pensato che un virus potesse mettere in ginocchio il mondo intero, provocare tante vittime e un disastro economico del genere. Certo, un po’ di preoccupazione ce l’avevo, ma quello che mi ha del tutto spiazzata è stata la velocità con cui è riuscito a far saltare tutto quanto».
Che cosa ha significato la pandemia per Antinori e che cosa significherà nel prossimo futuro?
«L’azienda è andata avanti a scartamento ridotto, nel senso che abbiamo portato avanti solo il lavoro in campagna. Per noi, comunque, l’effetto più evidente è stato il pesante calo di vendite in Italia: nel nostro Paese lavoriamo tanto con ristoranti ed enoteche, che sono rimasti chiusi. Abbiamo mitigato un po’ l’impatto della crisi con le vendite online. Quanto al futuro, non ho la sfera di cristallo, ma mi auguro che la situazione continui a migliorare. Se così sarà, il crollo di fatturato sarà importante, ma non tragico. D’estate continueranno a mancare molti turisti stranieri e forse non riusciremo a riassumere tutti i nostri stagionali della ristorazione, ma in azienda non vogliamo fare alcun licenziamento».
Il vino però non è la moda. Forse si difende meglio anche se c’è un oceano in mezzo. Se si conosce un buon vino lo si può comprare anche a scatola chiusa…
«È vero, sulle esportazioni siamo meno penalizzati. Certo, sui vini bianchi e rosati, che vanno consumati quando hanno caratteristiche di freschezza, qualche problema c’è. Ma quanto ai rossi, qualche mese in più in bottiglia male non fa. E poi noi speriamo che, al calo di turismo straniero, questa estate possa corrispondere un aumento di quello italiano».
Ce la farà il nostro Paese a uscire dal guado? Sul Corriere
Andrea Ceccherini ha detto che servirebbe un disegno progettuale da qui al 2030, ma che non ha fiducia nella attuale classe politica. Lei che ne pensa?
«I nodi sono arrivati al pettine, oggi si gioca il futuro dell’Italia e si può decidere cosa succederà nei prossimi vent’anni. Serve un piano strategico per far ripartire il Paese, scelte drastiche. Se così non sarà resteremo nel pantano. Il livello di litigiosità della nostra classe politica non fa ben sperare, ma almeno rispetto al recente passato ci sono ampi margini di miglioramento. Sia chiaro, riconosco che è una situazione difficile anche per chi deve prendere decisioni: l’importante è che i progetti e le idee non restino sulla carta. Faccio un esempio, si parla di aiutare i lavoratori in difficoltà, ma nell’agricoltura ci sono molti ragazzi senza stipendio da mesi che non hanno ancora visto un euro di cassa integrazione».
Gli imprenditori possono svolgere un ruolo importante in questa stagione? Sono all’altezza della sfida?
«Secondo me sì. Chi è sopravvissuto a questi vent’anni ha maturato un’esperienza tale da resistere ad ogni difficoltà. Non siamo stati aiutati, è mancata la possibilità di lavorare al meglio, sul piano progettuale, fiscale, burocratico. Così, chi è riuscito ad andare avanti è come se avesse fatto un’eccellente palestra: ora è ultra-allenato».
Dalle pagine del nostro giornale, Lorenzo Bini Smaghi ha chiesto ai politici di scegliere le persone in base alla competenza, non in base alle appartenenze. Ma nel privato si premia davvero sempre il merito?
«Un imprenditore serio punta sulla meritocrazia. Il perché è semplice: far funzionare al meglio l’azienda. Semmai, uno dei nostri problemi è la possibilità di scelta: non chiedo di poter licenziare con più facilità, ma serve un sistema più agile per mettere alla prova una persona e capire se è all’altezza e nel caso sostituirla».
Parliamo della nostra regione: la Toscana Felix è solo un ricordo?
«No, la nostra è una regione che ha degli asset eccellenti: il territorio, le industrie, le Università, realtà uniche nel panorama italiano. Ma ci sono anche zone grigie, a partire dalla crisi economica della Costa, che solleva un tema sociale molto serio, alla lentezza con cui va avanti lo sviluppo delle infrastrutture».
In autunno ci saranno le elezioni regionali. Vorrebbe che fossero le infrastrutture la priorità del nuovo governo toscano?
«Da lì bisogna partire, le infrastrutture languono da troppo tempo. Prima di tutto a Firenze serve un aeroporto che dia la certezza di poter decollare e di poter atterrare. È possibile che per viaggiare all’estero io debba andare a Bologna? Qualcuno dice che una nuova pista porterebbe masse di turisti che Firenze non può più sostenere, ma credo che l’aeroporto debba servire per attrarre, oltreché imprenditori, anche turisti di un livello un po’ più alto di quello attuale. Non è una questione di numeri, ma di qualità. Poi, non dimentichiamo le altre priorità: il sottoattraversamento Tav e la stazione Foster, l’autostrada Tirrenica, i rigassificatori...».
Ha parlato delle difficoltà della Costa, che vive una crisi che dura da troppo. In quel caso la ricetta è più turismo e meno industria?
«Sicuramente la bellezza della costa toscana può dare opportunità di sviluppo in termini turistici. Oggi lavoriamo con una fascia di medio livello, invece dovremmo pensare di andare oltre i soliti tre mesi d’estate e il solito campeggio: penso ad alberghi, a campi da golf, per valorizzare i luoghi meravigliosi che abbiamo. Però, attenzione, il coronavirus ci insegna che una sola vocazione non è la scelta giusta, bisogna diversificare. Non credo che sia l’epoca per puntare su nuove acciaierie, ma si dovrebbe sostenere lo sviluppo delle piccole aziende, dell’artigianato, dell’agricoltura».
A Firenze, nel centro storico, proprio a causa di una vocazione ormai solo turistica, la crisi è senza precedenti.
«Il turismo è saltato, è saltato il modello. Sia chiaro, non è possibile immaginare Firenze senza turisti. Però si può cambiare: prima di tutto cercando di limitare il mordi e fuggi che non porta né ricchezza intellettuale, né economica...».
Però uno dei problemi del centro città è la fuga dei residenti dal centro. E i b&b ospitano turisti che a Firenze pernottano…
«A parte poche eccezioni di alto livello, i b&b sono scelti perché sono economici. È necessario imporre regole, limitarli, far pagare le tasse a chi non lo fa. Ma non c’è solo questo: il turista deve venire a Firenze per trovare qualcosa di speciale, non solo il museo a cielo aperto, ma anche la creatività, l’ingegno, il commercio, l’artigianato. Sono realtà che vanno promosse e riportate in centro».
È una sfida complessa. Secondo Andrea Ceccerini, il cui Osservatorio permanente giovani editori è accanto al vostro storico Palazzo, forse la città non ha una classe politica all’altezza dell’impresa. Lei ha la stessa visuale?
«Io vedo che ci sono le idee giuste, volontà che vanno in una direzione positiva. Semmai, quel che manca è il passo successivo: la nostra classe politica deve avere il coraggio di portare a termine le scelte, senza lasciarle solo sulla carta, rompendo i lacci della burocrazia, magari scontentando anche qualcuno, se è necessario. E deve attivare le migliori intelligenze, coinvolgerle nelle scelte strategiche, come i think tank internazionali o un’eccellenza come l’Istituto universitario europeo. Però credo che anche i fiorentini debbano avere più coraggio…».
Vale a dire?
«Va bene che criticare è parte del patrimonio storico di questa città e di questa regione, però quando si parla della fuga dal centro dei residenti non si può solo puntare l’indice, ma bisogna tutti sentirsi responsabili: sarà anche scomodo per molti versi restare a vivere qui, però dobbiamo essere noi per primi a voler resistere, a non fuggire. Altrimenti è inutile lamentarsi».
❞ Noi siamo andati avanti anche se a scartamento ridotto Abbiamo mitigato l’impatto con le vendite online, non vogliamo licenziare nessuno
❞ La nostra regione ha degli asset eccellenti, ma ci sono anche delle zone grigie a partire dalla Costa La fuga dei fiorentini dal centro? Anche noi dobbiamo fare il mea culpa