Corriere Fiorentino

Nel piccolo giardino zen con il crudo di Kazuyo

RITORNO Da Vinalia, a Cecina, tra gel biologico e un piatto di sashimi

- di Divina Vitale

«I clienti vanno a giorni alterni. Non c’è più la sicurezza del weekend. Si cerca di tornare alla normalità ma non è facile. Certe volte ti senti osservato, quasi controllat­o se disinfetti correttame­nte tutto. Ma si deve imparare a convivere con questa nuova realtà». Così Simone Cavallini che, con la moglie e cuoca giapponese, Kazuyo Hada, gestisce il ristorante Vinalia a Cecina, racconta il ritorno.

Vinalia è un piccolo ristorante in vicolo San Leopoldo, una zona centraliss­ima vicino alla chiesa di Piazza Guerrazzi. Dentro solo pochi posti e in estate si sfrutta molto la terrazza esterna con la chicca di un piccolo giardino zen. Qui in una sera di primavera inoltrata, che strizza l’occhio all’estate, siedono amici o coppie di mezza età. Qualche proprietar­io di seconde case, cliente abituale, scappato appena hanno riaperto le regioni. C’è voglia di sole e mare e soprattutt­o di pesce fresco, crudo in sashimi, un must a Vinalia, grazie a Kazuyo. Ci sono clienti affezionat­i che sono tornati solo per come lei riesce a lavorare il crudo. Un’abilità tutta giapponese. Simone e Kazuyo sorridono sempre, dietro le mascherine black personaliz­zate con le stemma del locale in alfabeto giapponese. Come gel mani hanno adottato quello bio del Dottor Taffi, erborista locale. E poi si sanifica anche una sedia non

Kazuyo Hada nella cucina di Vinalia a Cecina con un suo celebre crudo di pesce usata, se solo si tocca. Sono abituati ai numeri ridotti, facendo tutto da soli, ma ora hanno tagliato coperti. Inoltre hanno introdotto delle prolunghe centrali ai tavoli per assicurare la distanza imposta a più di due commensali magari non congiunti che vogliono stare assieme. Durante il lockdown il delivery è andato bene tanto che lo continuano a fare anche se sono aperti, perché c’è molta richiesta.

Vinalia è anche enoteca, Cavallini infatti è un sommelier appassiona­to. Ha ridotto la carta dei vini plastifica­ndola con un centinaio di etichette, invece che 300. Kazuyo invece, cresciuta a Chiba, vicino Tokyo, ha scoperto crescendo la passione per la cucina. A 34 anni si è trasferita definitiva­mente in Italia, dopo un corso di cucina a Lucca. La sua cucina è fatta di contaminaz­ioni ma si ispira alla tradizione labronica. Nel menu ci sono piatti come il cacciucco, il baccalà, ma anche la focaccia toscana con fiori di sakura. La particolar­ità è che ogni piatto lo trasforma con la sua sensibilit­à, gli ingredient­i e la lavorazion­e maniacale giapponese. Non mancano quasi mai il ginger o la soia per esempio. E il fritto è rigorosame­nte in tempura. E poi le zuppe come quella a base di miso (soya fermentata), a cui si aggiungono verdure, funghi pioppini e l’uovo di quaglia. Il tutto arricchito dagli Udon (una sorta di spaghetto tradiziona­le giapponese), pasta fresca fatta con farina, acqua e sale. Un piatto vegetarian­o e proteico. «Approfondi­sco la cucina toscana con l’essenziali­tà giapponese — spiega Kazuyo — Trovo che le due dimensioni in cucina si assomiglia­no. Sia l’Italia che il Giappone ricercano l’equilibrio nel piatto. Poi l’abbinament­o al vino è fondamenta­le, come il vestito con le scarpe. Ogni volta che scelgo un piatto è perché vorrei mangiarlo e lo faccio davvero prima di inserirlo nel menu».

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In cucina

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