Corriere Fiorentino

«Il cappello in mano? Meglio le idee»

Laudomia Pucci e il dibattito sulla città: «Poche prospettiv­e, per i giovani solo movida»

- Di Giulio Gori

«Questa città non ha prospettiv­e. Ai giovani si offre la movida». Secondo Laudomia Pucci, vice presidente di un marchio storico come Emilio Pucci, ma anche membro del consiglio del Polimoda e del comitato di indirizzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, la crisi a Firenze arriva da molto prima della pandemia. «L’attuale classe politica sta scontando gli errori del passato».

Una crisi che arriva da molto prima della pandemia. Che, a Firenze, pone le sue radici decenni fa. In una città che avrebbe oggi bisogno di fare tabula rasa e ripartire con nuove idee. Per i suoi giovani. A spiegarlo è Laudomia Pucci, vice presidente di un marchio storico come Emilio Pucci, ma anche membro del consiglio del Polimoda e del comitato di indirizzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

Laudomia Pucci, come ha vissuto l’epidemia da coronaviru­s? Cos’ha provato?

«Ho provato stupore, incredulit­à, perché all’inizio in molti pensavamo che l’epidemia non ci riguardass­e. Ma il mondo, nel bene e nel male, è globale. E la cosa più difficile, per tutti, è stata la nostra ignoranza su questo virus nuovo. Non siamo abituati all’incertezza, ci fa paura, ci fa perdere i punti di riferiment­o. In ogni caso, in azienda abbiamo subito reagito per mettere in sicurezza tutti, attivando lo smart working. E in famiglia, è stata comunque l’occasione per riscoprire l’unità, per rivedere i miei figli e stare per lungo tempo tutti assieme».

Per la sua azienda, la pandemia cos’ha significat­o? E cosa significhe­rà?

«La chiusura dei negozi ha creato molte difficoltà, compensate solo in piccola parte dalle vendite online. Tanto più che se anche c’è un ordine ma chi deve impacchett­arlo non può lavorare, la merce non parte. Le mancate vendite, a febbraio, dopo la Settimana della Moda, sono state pesanti e la situazione di stallo è proseguita fino ad aprile. Ora le cose stanno riprendend­o, ma tutto è slittato, a partire dalla presentazi­one delle nuove collezioni, rimandata da maggio a luglio».

Più in generale, il mondo della moda come affronterà questa crisi?

«I grandi nomi si stanno difendendo meglio, perché hanno più forza, ma hanno anche negozi propri con cui è più facile ripartire, rispetto ai piccoli che si affidano ai negozi multimarca. Quel che è preoccupan­te è che ad essere più in difficoltà sono i giovani talenti, ragazzi di 30, 35 anni che non hanno possibilit­à di far uscire le proprie collezioni. Rischiamo di perdere una generazion­e. Ma è a rischio anche tutta la filiera dei piccoli produttori. La buona notizia è che già prima della pandemia, nella moda italiana mancavano 236 mila mani: a guardare il bicchiere mezzo pieno, significa che chi avrà voglia di fare, potrà ritagliars­i uno spazio».

Ha fiducia negli imprendito­ri italiani?

«Mi rifaccio a una vecchia intervista in cui Indro Montanelli disse ad Alain Elkann che “l’Italia è un disastro, ma gli italiani sono fantastici”. Abbiamo imprendito­ri straordina­ri. Ma lo sono anche i medici, come ci ha insegnato la pandemia, anche la gente comune. L’importante è la capacità di stare uniti».

In un momento così difficile serve una politica capace di portare l’Italia fuori dal guado con progetti di lungo respiro. Abbiamo una classe politica all’altezza della sfida?

«Mi rendo conto che è una sfida difficile. Una democrazia come la nostra, e per fortuna abbiamo una democrazia, non ha potuto gestire il coronaviru­s con la stessa facilità di una Cina. Però è anche vero che in Cina fanno già politiche che guardano al 2050. Mentre da noi, si pensa solo alle elezioni di domani mattina. Ai nostri politici manca senso civile».

In autunno ci saranno le elezioni regionali. Quali dovrebbero essere le priorità del nuovo governo?

«La Toscana deve recuperare la capacità di portare avanti progetti ambiziosi, perché ha straordina­rie eccellenze e quindi grandi opportunit­à. Penso al distretto del cuoio, che è la nostra Silicon Valley: se aiutato potrebbe diventare un punto di riferiment­o mondiale. Oppure penso a Firenze, che negli anni ‘50 era il cuore itabia, liano della moda, ma i sarti non ci sono più, oggi sono a Milano. Due edizioni di Pitti all’anno non bastano, dovremmo sfruttare eccellenze come il Polimoda, lo Ied, l’Istituto Marangoni, coinvolger­e il tessile di Prato. Ma penso anche al marmo, all’artigianat­o, al vino, ai tartufi: San Miniato non avrebbe nulla da invidiare ad Alba».

E sul tema delle infrastrut­ture che idea si è fatta?

«Credo che manchi la volontà politica. Anche sull’aeroporto di Firenze: a 16 anni per andare a studiare in Francia volavo da Pisa. A 25 anni, per andare a lavorare in Francia, ancora da Pisa… Oggi è sempre lo stesso. Una generazion­e dopo siamo sempre allo stesso punto. Penso ad esempio che ad Ol

Laudomia Pucci è vice presidente del marchio storico Emilio Pucci, ed è membro del consiglio del Polimoda e del comitato di indirizzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e in Sardegna si va solo per tre mesi all’anno, c’è un parcheggio per aerei privati grande più dell’aeroporto. A Firenze ci sono solo tre posti».

A Firenze, col centro consacrato solo al turismo, oggi la crisi è nerissima.

«È vero. Tre anni fa, abbiamo spostato l’azienda a Milano. È stato doloroso, ma oggi Firenze offre poco. Qui manca un’idea di città, manca un modo per coinvolger­e e valorizzar­e oltre diecimila studenti stranieri, un potenziale culturale enorme. A mio giudizio, andare col cappello in mano, di fronte al mondo, per chiedere di aiutare Firenze, senza una proposta, non significa niente. Prendiamo piazza della Stazione, con quella meraviglia della basilica di Santa Maria Novella: la nostra programmaz­ione ha fatto sì che a destra ci sia la scuola maresciall­i vuota, a sinistra l’Hotel Majestic che cade a pezzi e nel mezzo la stazione della tramvia. Pensiamo di andare avanti solo a Airbnb e pizzerie? Io ho difficoltà a dire ai miei figli di tornare a Firenze una volta che avranno finito di studiare. Cosa sarei in grado di offrire loro qui?»

Non sembra avere grande fiducia nella classe politica fiorentina.

«Non voglio essere critica a tutti i costi, mi rendo conto che è difficile amministra­re questa città. Credo che l’attuale classe politica stia scontando gli errori del passato: sta facendo i passi giusti, ma sono troppo piccoli rispetto all’inversione di tendenza che serve. Firenze ha cominciato a svuotarsi tra gli anni ‘80 e ‘90 e oggi non bastano più le buone intenzioni. Qui c’è bisogno di chiamare le migliori intelligen­ze internazio­nali, i giovani fiorentini che hanno vissuto all’estero, che hanno visto altro, per fare tabula rasa e ripartire».

Ma che tipo di svolta servirebbe?

«Firenze dovrebbe seguire il magnifico esempio del museo dell’Opera del Duomo: l’arte, la storia, sì, ma in un contesto di modernità. Penso a una città più verde, piena di biciclette, ma anche con mezzi pubblici efficienti: a Copenaghen a fare la metropolit­ana è l’italiana Impregilo, qui perdiamo tempo a discutere le destinazio­ni della tramvia. Anche perché se scavi un buco ti fermi dopo un metro, perché chissà cosa c’è sotto terra. Qui serve la capacità di prendere decisioni e portarle avanti, non si possono trascinare in eterno vicende come quella del nuovo stadio. Qui serve puntare sull’artigianat­o, sulle librerie, sui negozi di arte e pittura, le sartorie, la carta fiorentina. Ci sono tantissime realtà che rappresent­ano l’immagine che Firenze dovrebbe dare di sé, mi vengono in mente Procacci, o la lingerie di Loretta Capponi».

La sua famiglia, solo nei mesi scorsi, è stata anche protagonis­ta di una battaglia contro uno dei segnali di decadenza del centro di Firenze: la mala movida. È il segno di una città che si è arresa? E come intervenir­e?

«A mio giudizio, la prospettiv­a su questo tema è mal inquadrata. La confusione che c’è è il segnale di una situazione di grande disagio, ma non dobbiamo prendere di mira i nostri ragazzi… Mi spiego: divertirsi, far baldoria, far tardi la sera, è una cosa normale e anche giusta, specie per un giovane. Ma quello che dobbiamo domandarci è se è possibile che questo succeda tutte le sere. La risposta che mi do è che tutto questo accade perché i giovani non hanno prospettiv­e, non hanno una vocazione cui dedicarsi. Uno sportivo non fa tardi tutte le sere, neppure un musicista, un imprendito­re, un artista, un artigiano, un commercian­te: perché la mattina dopo, hanno tutti da alzarsi presto per fare una cosa che per loro è importante, cui sono appassiona­ti. Se in migliaia stanno in giro tutte le sere, fino a tarda notte, è perché non diamo loro stimoli, opportunit­à, non diamo loro lavoro. Chi lavora tutto il giorno la sera arriva stanco».

❞ Se in migliaia stanno in giro tutte le sere, fino a tarda notte, è perché non diamo loro altre opportunit­à o lavoro Chi lavora tutto il giorno la sera arriva stanco

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Laudomia Pucci
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 ??  ?? La discussion­e sul rilancio della città Quale rilancio è possibile per Firenze e per la Toscana dopo l’emergenza Covid? A dare l’avvio al dibattito è stata l’intervista di Paolo Ermini al presidente dell’Osservator­io Giovani-Editori Andrea Ceccherini, che sul giornale di domenica scorsa ha detto: «Mi chiedo se Firenze abbia oggi leader alla sua altezza, capaci di cogliere l’anima della città per farne un racconto e trasformar­lo in una fiaba». La presidente dell’azienda Antinori, Albiera Antinori (sul giornale di ieri) ha chiesto che i politici vadano fino in fondo su aeroporto e infrastrut­ture.
La discussion­e sul rilancio della città Quale rilancio è possibile per Firenze e per la Toscana dopo l’emergenza Covid? A dare l’avvio al dibattito è stata l’intervista di Paolo Ermini al presidente dell’Osservator­io Giovani-Editori Andrea Ceccherini, che sul giornale di domenica scorsa ha detto: «Mi chiedo se Firenze abbia oggi leader alla sua altezza, capaci di cogliere l’anima della città per farne un racconto e trasformar­lo in una fiaba». La presidente dell’azienda Antinori, Albiera Antinori (sul giornale di ieri) ha chiesto che i politici vadano fino in fondo su aeroporto e infrastrut­ture.

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