«SANTO SPIRITO, VOLENDO FARE SI FA»
Gentile sindaco, la situazione in Santo Spirito sta diventando insostenibile, è un vero insulto all’ordine costituito e alle mille regole che ci hanno e noi stessi ci siamo dati per affrontare la pandemia.
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Sono almeno 50 anni che questa piazza è un caso che non si vuol risolvere. Ci ho abitato per vent’anni, sono stato presidente dell’associazione Santo Spirito, sono stato l’anima del processo nell’aula bunker alla banda di spacciatori nordafricani, concluso con condanne esemplari, da tre a nove anni, per la coraggiosa collaborazione e testimonianza di tanti cittadini.
Ho finanziato, con alcuni amici: Leonardo Tozzi, Enzo Ricchi, Bibo Gargelli, Andrea Giacomini, tutti operatori economici della zona, il bar e gli spettacoli in mezzo alla piazza, per levare spazio ai balordi con la gente perbene.
Ci abbiamo rimesso diversi soldi, ma ne è valsa la pena. Quindici anni fa me ne sono andato, non volevo che i miei figli, Corso e Verdiana, diventassero adolescenti in quel casino di alcol e droga. Con un immenso dispiacere perché, di giorno, Piazza Santo Spirito, è uno dei posti più belli del mondo.
Ma la casa non l’ho venduta. C’eravamo troppo affezionati e un giorno, magari, i ragazzi ci riporteranno le loro vite, ormai adulti e capaci di fare le loro scelte, buone o cattive.
In quei tempi, dopo averle provate tutte, Comune, Prefetto, Questore, Magistratura, non sapendo a che santo voltarmi, mi rivolsi a Pierluigi Vigna, ogni tanto compagno di cene e di agguerrite partite di scopone. Non so cosa ha fatto, perché non me l’ha mai detto, ma alla fine intervenne il battaglione della polizia del Poggio Imperiale.
Arrivarono in tanti, quasi un centinaio, bloccarono le due uscite della piazza, identificarono tutti e arrestarono 24 persone, tenendole ore a sedere lungo il marciapiede, con le scarpe da tennis allacciate con quelle del vicino dai due lati, la testa sulle ginocchia con le mani sopra. Questo per mostrare che la festa era finita e lo Stato era tornato. Fra gli applausi scroscianti degli abitanti.
Restarono in carcere fino al processo. Noi testimoni sfilavamo davanti alle gabbie e indicavamo quelli che conoscevamo. Una signora si senti male, ma confermò la sua testimonianza. Così fini la banda Dumdum, che prendeva il nome da un quartiere di Tunisi. Vede, caro Sindaco, che volendo si può. Ci vogliono coraggio e risolutezza, ma non è impossibile. Fra l’altro ci hanno tenuto chiusi per 60 giorni, anche adesso ci sono tante attività ancora ferme. Si sta vivendo in un mondo di scatole di plexiglas e di mascherine. Cinema, teatri e stadi sono chiusi, così scuole e università. Lei sa, meglio di me, che se in autunno o in inverno si ripresenta una seconda ondata di pandemia, forse sanitariamente saremo più preparati, ma economicamente non abbiamo possibilità di reggere altri mesi di lockdown. I soldi che abbiamo messo in campo ora sono proprio gli ultimi.
Come è possibile che, sapendo tutto questo, si possa permettere a migliaia di giovani incoscienti di fregarsene bellamente, come se le migliaia di morti fossero di una guerra di cinquant’anni fa e non medici, infermieri, nostri concittadini, molti ancora con sepolture precarie.
Aspettiamo le sue decisioni, Signor Sindaco. Non ci deluda. Riccardo Zucconi
Caro direttore, al suo articolo sugli otto rimedi possibili alla malamovida mi consenta di aggiungerne un nono: divieto di musica all’aperto, ma permessa solo in locali chiusi e insonorizzati, come l’Hard Rock Café: se ci passi accanto sul marciapiede non senti nulla. Vanni Malagola Anziani
Caro direttore, ho letto il suo articolo sulla movida «tossica» della nostra città. Mi faceva piacere dirle quanto l’ho apprezzato e quanto io condivida appieno ogni singola parola. Giulia Carabba
Caro direttore, non c’è la volontà politica di gestire il problema movida, riunioni inutili fatte solo per cercare di tranquillizzare ma poi riparte il circo. Ci vuole un’azione da parte dei residenti. Alessandro Villoresi © RIPRODUZIONE RISERVATA