Corriere Fiorentino

Prato, l’appello del vescovo «Cambiare, ora o mai più»

Nerbini: il virus ha abbattuto le barriere tra noi e i cinesi, dobbiamo creare una città unita

- Edoardo Semmola

«Certo che una messa così...». I commenti nella diocesi pratese sono di quelli da fare a bocca aperta. E con la frase rimasta sospesa nei suoi tre puntini, di quelle che non finiscono a parole, ma con un gesto della mano che dal petto si stende verso la platea degli ottocento davanti. Meraviglia mista a soddisfazi­one. Soprattutt­o dopo l’ostensione della cintola in mezzo al lockdown, che aveva visto il vescovo Giovanni Nerbini e il sindaco Matteo Biffoni fianco a fianco con di fronte il deserto solo poche settimane fa. Entrambi emozionati­ssimi. Per questo quella di ieri l’altro per il Corpus Domini non sono state solo una messa, e un’omelia, speciali. È stata una giornata da ricordare. L’occasione per Nerbini di recitare un’omelia con i toni dell’ «ora o mai più». L’ora di cambiare. Per mai più tornare indietro a «come eravamo prima». Per trasformar­e — questo il senso del suo appello — la città di Prato dalla somma di due realtà parallele, quella degli italiani, quella della comunità cinese, unite solo da vincoli economici e non anche sociali. In una Prato diversa, finalmente unita in tutte le sue componenti. Perché «non sarà più tutto come prima, questa esperienza dolorosa ci cambierà e ci deve cambiare nel modo in cui guardiamo ai problemi del mondo», ha detto Nerbini riferendos­i alla pandemia. «La Sacra Cintola, stasera, è tornata a legarci in modo specialiss­imo — ha spiegato il vescovo ai suoi fedeli nel mezzo alla crisi sanitaria — facendoci sentire tutti più che mai una famiglia di famiglie, una unica grande comunità, quella dei pratesi di vecchia origine e di nuova — più o meno nuova — provenienz­a». Il suo primo pensiero è stato appunto rivolto alla grande comunità cinese che ora più che mai vuole sentire vicina. Proprio perché «il virus in poche settimane sta iniziando ad abbattere muri che quasi trent’anni di convivenza non erano riusciti a scalfire».

Nerbini ha spronato i pratesi a riprendere in mano singolarme­nte e collettiva­mente il destino della città. Con azioni concrete, anche da parte della diocesi stessa. Che infatti è la prima a mettere in campo il fondo sociale di emergenza Covid-19 «Il buon samaritano» con erogazioni fino a 1.500 euro per chi deve pagare, mutui, affitti, utenze di casa, spese sanitarie. «Diventiamo samaritani», lo dice chiaro il vescovo. Sostenuto a stretto giro dal sindaco Biffoni, che commenta: «Noi rispondiam­o presenti». Soprattutt­o su due punti: «Quando ha chiamato tutti, istituzion­i e realtà cittadine, a contribuir­e insieme a rinsaldare il tessuto cittadino. E poi quando ha detto che non dobbiamo dimenticar­e chi è rimasto indietro». È uno

❞ Lanciato il fondo «Il buon samaritano» di sostegno alle famiglie: aiuti fino a 1.500 euro

«scatto in avanti» quello che il vescovo ha chiesto ai pratesi. Al fianco del sindaco. Uno scatto soprattutt­o sul piano sociale, dell’unità. «La Chiesa pratese c’è: le nostre porte — dice il vescovo Nerbini — sono aperte e i nostri tavoli sono disponibil­i, nella libertà e nella distinzion­e dei ruoli. Questa città che ha le risorse per ripartire e ripartire prima degli altri, come è stato scritto bene, deve fare uno scatto adesso, immaginand­o il proprio futuro». Perché il coronaviru­s si è manifestat­o anche come «una provocazio­ne non solo per la scienza e la medicina che alla fine, sono sicuro, lo sconfigger­anno ma anche per la nostra vita quotidiana che non potrà e non dovrà essere più come prima».

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Il vescovo di Prato Giovanni Nerbini affacciato su piazza Duomo piena di fedeli per il Corpus Domini
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