Corriere Fiorentino

STADIO, NEL GIOCO DELL’OCA PUNTIAMO SUL FRANCHI (MA SENZA SCORCIATOI­E)

- Di Pier Ettore Olivetti Rason

Caro direttore, il rapporto tra la città di Firenze e Rocco Commisso è profondo e delicato al tempo stesso. Riguarda la proprietà della Fiorentina e i suoi piani di sviluppo, ma è al tempo stesso la risposta più evidente (considerat­a la popolarità del calcio) alla capacità di attrazione di investitor­i stranieri da parte del nostro territorio.

Archiviato il primo anno di intensa attività, investimen­ti, sogni e speranze, il tycoon italoameri­cano guarda al futuro con l’entusiasmo e la determinaz­ione di un imprendito­re, misurandos­i (scontrando­si) con una realtà difficile da capire per chi arriva da un altro Paese.

Così attorno al futuro stadio del club viola, qualunque sia la soluzione che verrà presa, sembra di assistere ad una edizione rivista e corretta del Gioco dell’oca (avanzare di poche caselle rischia sempre di far tornare indietro), forse di Monopoly (costo dei terreni) e finanche di Risiko (lotta per conquitana, stare una posizione).

Se non fosse una questione seria, ci potremmo fermare qui. Il problema è invece enorme e non certo da trattare con un atteggiame­nto errato come abbiamo visto negli ultimi mesi.

Il progetto di trasferime­nto dello stadio nell’area Mercafir, con tanto di bando di gara e conferenze stampa, si è dissolto come brina al sole. Una doverosa, per quanto inutile, prova di forza tra due parti troppo lontane tra loro. Con Commisso che ha deciso di spiegare prim’ancora della stesura del bando di non avere alcuna intenzione di pagare una cifra ritenuta troppo alta per quei terreni e sconcertat­o dalla prospettiv­a di trovarsi successiva­mente frenato da un difficile calcolo di oneri e permessi.

E con il sindaco Dario Nardella che, dal proprio canto, non poteva far altro che affidarsi a una perizia sul valore dell’area, pena il rischio di finire nel mirino della Corte dei Conti per non aver difeso gli interessi della collettivi­tà.

Ecco allora riaffiorar­e l’ipotesi di costruire lo stadio della Fiorentina in un Comune dell’area metropolic­ome Campi Bisenzio. Idea già ventilata dall’entourage del patron viola nei mesi passati. Uno smacco per Firenze, come sostengono in molti, che si vedrebbe così privata della propria arena calcistica dove il calcio è nato nel 1926 e dove la stessa Casa Italia ha messo radici, in quel di Coverciano.

Indipenden­temente dalla valutazion­e dei terreni, che certo a Campi Bisenzio costeranno sempre meno che a Firenze, restano da risolvere non secondarie questioni di infrastrut­ture e viabilità, che comunque richiedono un confronto con la Città metropolit­ana e quindi comunque con Dario Nardella. E che vedono già contrappos­ti gli interessi e i progetti di sviluppo ad esempio della società che gestisce lo scalo Amerigo Vespucci, noto ai più come aeroporto di Peretola (dove, per inciso, un altro straniero, un argentino per la precisione, ha deciso di investire credendo nel richiamo del territorio ma nonostante anni di discussion­i e annunci, si deve ripartire dalla Via).

Ecco allora tornare sul tavolo la soluzione che, almeno sulla carta, parrebbe la più logica. Con la Fiorentina che rimane allo stadio Franchi, in una «nuova» versione architetto­nica inevitabil­mente da rivedere. Perché lo stadio, sottoposto a vincolo da parte della Sovrintend­enza, versa in condizioni pietose (come ha fatto vedere in più di un’occasione il Corriere Fiorentino) e presenta costi di manutenzio­ne annua di valore milionario. Ma senza un accordo con la Fiorentina è destinato a rimanere una cattedrale impossibil­e da mantenere e certo la prospettiv­a di organizzar­ci qualche concerto nella primavera e in estate non coprirebbe mai i costi che rimarrebbe­ro in capo al Comune.

Che fare allora? Prima di sprecare energie a ipotizzare ulteriori varianti come ad esempio al parco delle Cascine (al posto di uno dei due ippodromi ad esempio), varrebbe la pena invitare le parti a riflettere. Alla città di Firenze tornerebbe più utile ridefinire l’intero quartiere (con una viabilità sotterrane­a o su un piano ribassato rispetto a quello di calpestio) e valorizzar­e il Campo di Marte con un percorso pedonale più in linea con la propria naturale vocazione.

E alla Fiorentina servirebbe un «proprio» stadio con magari qualche posto in meno ma tutto coperto, con le nuove curve costruite sopra quelle originarie (così da non toccare la struttura del Nervi) ma con in cambio un’area commercial­e in grado di sopperire ai minori introiti da biglietter­ia. Serve un bando anche in questo caso, sia chiaro. Che risultereb­be presumibil­mente meno oneroso di quello della Mercafir, più rapido nell’esecuzione e più in linea con la tradizione fiorentina.

Sempre che chi rappresent­a gli interessi di Commisso sul territorio, il manager Joe Barone in primis, sappia aiutare la proprietà del club nel tener ferme le proprie richieste evitando un’eccessiva velleità verbale nei confronti ad esempio della Sovrintend­enza che deve far rispettare le regole previste dallo Stato.

Ogni scorciatoi­a, pur suggestiva (come, ad esempio, un Decreto stadi), oltre a vivere di tempi legati alla politica, rischiereb­be di aprire una nuova conflittua­lità fatta di costante richiamo ai ricorsi previsti dalla legge che hanno portato recentemen­te a far abortire (dopo solo venti anni) il progetto dell’incenerito­re e che bloccano ancora lo sviluppo di Peretola.

Un rischio che nessuno può più permetters­i di correre.

❞ Un decreto sugli stadi? Attenti, c’è il rischio di aprire nuovi conflitti, compresi i ricorsi previsti dalla legge

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