STADIO, NEL GIOCO DELL’OCA PUNTIAMO SUL FRANCHI (MA SENZA SCORCIATOIE)
Caro direttore, il rapporto tra la città di Firenze e Rocco Commisso è profondo e delicato al tempo stesso. Riguarda la proprietà della Fiorentina e i suoi piani di sviluppo, ma è al tempo stesso la risposta più evidente (considerata la popolarità del calcio) alla capacità di attrazione di investitori stranieri da parte del nostro territorio.
Archiviato il primo anno di intensa attività, investimenti, sogni e speranze, il tycoon italoamericano guarda al futuro con l’entusiasmo e la determinazione di un imprenditore, misurandosi (scontrandosi) con una realtà difficile da capire per chi arriva da un altro Paese.
Così attorno al futuro stadio del club viola, qualunque sia la soluzione che verrà presa, sembra di assistere ad una edizione rivista e corretta del Gioco dell’oca (avanzare di poche caselle rischia sempre di far tornare indietro), forse di Monopoly (costo dei terreni) e finanche di Risiko (lotta per conquitana, stare una posizione).
Se non fosse una questione seria, ci potremmo fermare qui. Il problema è invece enorme e non certo da trattare con un atteggiamento errato come abbiamo visto negli ultimi mesi.
Il progetto di trasferimento dello stadio nell’area Mercafir, con tanto di bando di gara e conferenze stampa, si è dissolto come brina al sole. Una doverosa, per quanto inutile, prova di forza tra due parti troppo lontane tra loro. Con Commisso che ha deciso di spiegare prim’ancora della stesura del bando di non avere alcuna intenzione di pagare una cifra ritenuta troppo alta per quei terreni e sconcertato dalla prospettiva di trovarsi successivamente frenato da un difficile calcolo di oneri e permessi.
E con il sindaco Dario Nardella che, dal proprio canto, non poteva far altro che affidarsi a una perizia sul valore dell’area, pena il rischio di finire nel mirino della Corte dei Conti per non aver difeso gli interessi della collettività.
Ecco allora riaffiorare l’ipotesi di costruire lo stadio della Fiorentina in un Comune dell’area metropolicome Campi Bisenzio. Idea già ventilata dall’entourage del patron viola nei mesi passati. Uno smacco per Firenze, come sostengono in molti, che si vedrebbe così privata della propria arena calcistica dove il calcio è nato nel 1926 e dove la stessa Casa Italia ha messo radici, in quel di Coverciano.
Indipendentemente dalla valutazione dei terreni, che certo a Campi Bisenzio costeranno sempre meno che a Firenze, restano da risolvere non secondarie questioni di infrastrutture e viabilità, che comunque richiedono un confronto con la Città metropolitana e quindi comunque con Dario Nardella. E che vedono già contrapposti gli interessi e i progetti di sviluppo ad esempio della società che gestisce lo scalo Amerigo Vespucci, noto ai più come aeroporto di Peretola (dove, per inciso, un altro straniero, un argentino per la precisione, ha deciso di investire credendo nel richiamo del territorio ma nonostante anni di discussioni e annunci, si deve ripartire dalla Via).
Ecco allora tornare sul tavolo la soluzione che, almeno sulla carta, parrebbe la più logica. Con la Fiorentina che rimane allo stadio Franchi, in una «nuova» versione architettonica inevitabilmente da rivedere. Perché lo stadio, sottoposto a vincolo da parte della Sovrintendenza, versa in condizioni pietose (come ha fatto vedere in più di un’occasione il Corriere Fiorentino) e presenta costi di manutenzione annua di valore milionario. Ma senza un accordo con la Fiorentina è destinato a rimanere una cattedrale impossibile da mantenere e certo la prospettiva di organizzarci qualche concerto nella primavera e in estate non coprirebbe mai i costi che rimarrebbero in capo al Comune.
Che fare allora? Prima di sprecare energie a ipotizzare ulteriori varianti come ad esempio al parco delle Cascine (al posto di uno dei due ippodromi ad esempio), varrebbe la pena invitare le parti a riflettere. Alla città di Firenze tornerebbe più utile ridefinire l’intero quartiere (con una viabilità sotterranea o su un piano ribassato rispetto a quello di calpestio) e valorizzare il Campo di Marte con un percorso pedonale più in linea con la propria naturale vocazione.
E alla Fiorentina servirebbe un «proprio» stadio con magari qualche posto in meno ma tutto coperto, con le nuove curve costruite sopra quelle originarie (così da non toccare la struttura del Nervi) ma con in cambio un’area commerciale in grado di sopperire ai minori introiti da biglietteria. Serve un bando anche in questo caso, sia chiaro. Che risulterebbe presumibilmente meno oneroso di quello della Mercafir, più rapido nell’esecuzione e più in linea con la tradizione fiorentina.
Sempre che chi rappresenta gli interessi di Commisso sul territorio, il manager Joe Barone in primis, sappia aiutare la proprietà del club nel tener ferme le proprie richieste evitando un’eccessiva velleità verbale nei confronti ad esempio della Sovrintendenza che deve far rispettare le regole previste dallo Stato.
Ogni scorciatoia, pur suggestiva (come, ad esempio, un Decreto stadi), oltre a vivere di tempi legati alla politica, rischierebbe di aprire una nuova conflittualità fatta di costante richiamo ai ricorsi previsti dalla legge che hanno portato recentemente a far abortire (dopo solo venti anni) il progetto dell’inceneritore e che bloccano ancora lo sviluppo di Peretola.
Un rischio che nessuno può più permettersi di correre.
❞ Un decreto sugli stadi? Attenti, c’è il rischio di aprire nuovi conflitti, compresi i ricorsi previsti dalla legge