SARABANDA DELL’ITALIANITÀ
Alla fine di questa settimana verrebbe quasi da contraddire Indro Montanelli e la sua celebre frase rievocata ieri su questo giornale da Laudomia Pucci: «L’Italia è un disastro, ma gli italiani sono fantastici». Eppure anche lui è finito di nuovo dentro la sarabanda dell’italianità ai tempi del Covid con i Sentinelli milanesi (spalleggiati dall’Arci e da parte del Pd meneghino) che vorrebbero abbattere la sua statua nei giardini di via Palestro a Milano dedicati al grande giornalista per avere un po’ di visibilità nella giusta campagna anti razzista partita dopo l’omicidio di George Floyd a Minneapolis. Furbizie. Di cattivo gusto. Furbizie da criminali invece quelle scoperte a Prato dove imprenditori cinesi e italiani che producevano le mascherine distribuite gratuitamente dalla Regione hanno subito cercato di approfittare dei controlli allentati dall’emergenza. Le intercettazioni sembrano quelle de L’Aquila, quando il costruttore rideva di notte nel suo letto mentre la città crollava. «Metti un velo nel mezzo (delle mascherine, ndr) così invece di 3 milioni ne facciamo 7. C’è da fare la giochessa, io per un milione di euro sono capace di tutto». Bentornati nell’Italia dei furbi, nel Paese degli egoisti, dei golosi. Nel Paese dove tutto si dimentica in fretta — i medici e infermieri eroi, i nostri anziani falcidiati dal Covid, i camion militari con le bare — perché fa comodo rimandare al domani. Che fatica la lungimiranza. Quanto è semplice dopo tre mesi di lockdown tornare appiccicati nelle piazze o sui sagrati, come prima, più di prima e sfogarsi con le abbuffate di alcol. Quanto è liberatorio scaricare la rabbia rompendo le bottiglie di vetro per terra, saltare sui cofani delle auto, cantare a squarciagola cori da stadio alle 4 del mattino, pisciare sotto le finestre, contro i muri, contro le chiese della nostra Firenze su cui magari vergare una bestemmia, uno scarabocchio. Forse come diceva ieri Laudomia Pucci è anche colpa nostra perché ai giovani non abbiamo offerto prospettive e vocazioni cui dedicarsi. Forse, forse, forse. Ma non basta. C’è anche una città che non offre vocazioni diverse se non l’incasso della rendita turistica che però è stata azzerato dal Covid. Quindi ora si chiede ai fiorentini di andare nei locali, quei locali soccorsi dal Comune inzeppando di tavolini strade e piazze. «Venghino signori, venghino!». E il diritto di vivere in centro — quello che ora si vorrebbe ripopolare — dei residenti?
Viene dopo il diritto di divertirsi che ha spazzato via i parcheggi (per far posto ai tavolini) insieme al Covid. Divertirsi si può, anche con le mascherine e rispettando le regole. Così come si può anticipare gli orari della movida e lo stop alla vendita dell’alcol, offrire alternative alla fabbrica di shot del centro. Il Forte Belvedere resta chiuso (ma è così difficile organizzarci qualcosa oltre le mostre?), le Cascine sottoutilizzate. Forse perché non si devono disturbare i gestori dei locali del centro. Quelli che ci accusano di essere conservatori. Che in questi giorni di movida fanno incassi. Che hanno i nostri ragazzi accalcati fuori col drink in mano e le mascherine abbassate. E che poi gli dicono di «alzarsele» solo quando passa un carabiniere.