PASSATO E PRESENTE CHE SI UNISCONO (CON DIREZIONE FUTURO)
Quando si dice Porta Romana, è difficile uscire dal paradigma lampredottesco. Per quanto il dibattito sul miglior trippaio della città sia eterno e resti aperto, è un fatto che applicando l’approccio statistico che è proprio delle scienze sociali, quello di Porta Romana continui a registrare una delle più elevate incidenze dell’attribuzione del primato. Ferma restando la qualità, non è implausibile che tale egemonia si debba anche alla posizione: al carattere del luogo. Se infatti gli amanti delle frattaglie si dividono tra chi sostiene la superiorità dei banchetti di periferia, magari sugli svincoli, e chi non riesce a immaginare un panino al lampredotto senza la cornice delle vecchie vie del centro, a Porta Romana i due caratteri trovano una sintesi. E la trovano anche fuor dalle contese gastronomiche: se porta conserva più di altre il carattere originario (costruita tra il 1328 e il 1331 su progetto dell’Orcagna, fu scapitozzata come le altre due secoli dopo per renderla meno vulnerabile al fuoco d’artiglieria, ma le fu risparmiata l’aggiunta delle troniere atte a farle ospitare a sua volta i cannoni, dato che la presa di Siena rendeva improbabile un attacco da meridione), gode anche di una valorizzazione messa in atto in epoca moderna, quando nel 1938 il complesso fu isolato dagli edifici che nei secoli vi si erano addossati; tuttavia, come porta
San Frediano, l’unica a superarla in ampiezza, conserva ancora i battenti in legno chiodato originali. A rinforzare questa fortunata crasi tra passato e presente, sul piazzale antistante ha sede una delle poche opere di arte pubblica moderna che non sfigurino di fronte al patrimonio storico fiorentino: a suo tempo discusso (ma è anche solo immaginabile un intervento sul tessuto cittadino che non generi polemiche?), il marmo «Dietrofront» di Michelangelo Pistoletto pare suggerire un’aspirazione a trovare una sintesi tra l’ingombrante storia cittadina e il futuro in cui comunque siamo proiettati; aspirazione oggi ancor più inevitabile, vista la situazione della città (e del mondo), che chiede reinvenzione, apertura e messa a sistema in ogni campo: un’indicazione, che oggi suonerà forse ardita, viene da un passato non troppo remoto: pochi ricordano che qui, per quasi mezzo secolo (1891-1935), aveva sede il capolinea della Tramvia del Chianti, quando senza entrare su un automezzo si potevano raggiungere San Casciano e Greve in Chianti.