UN DECLINO SCRITTO, MA NON INEVITABILE
Caro direttore, ho molto apprezzato la lettera di Riccardo Zucconi pubblicata sabato scorso sul Corriere Fiorentino.
Una lettera che trasuda tanta tristezza.
C’è un problema generale di classe dirigente, mancano oltretutto quelle basi costitutive della fiorentinità, impastate di sottile ironia quando non di sarcasmo, di quella passione che pacatamente avvolgeva Piero Bargellini, che ho conosciuto da ragazzo in via delle Pinzochere. Sempre più flebili mi sembra di sentire le voci del Perozzi e del Melandri, di Paolo Poli, di Zeffirelli che quando gli accennai alla Fiorentina la sua cortesia si trasformò in amore puro, di Albertazzi la cui casa romana risplendeva di viola, lui uomo di spettacolo, dove il viola non è notoriamente ben visto, all’intervistatrice rispondeva che era il colore della sua squadra — quando l’ho sentito alla televisione mi sono scappate le lacrime — Narciso ci aveva di fatto già lasciato alla fine dei Sessanta, nemo propheta etc, del Ciuffi.
Sono sicuro che il turismo di massa riprenderà a far girare il motore economico della città, il Rinascimento è ancora un valore spendibile grazie a Dio, ma la sua anima sopravviverà imbalsamata nei libri di storia, nella
Commedia come nelle
Facezie di Poggio Bracciolini. Che è già qualcosa. A Santo Spirito nella sala capitolare dove è nato l’Umanesimo, nel 2003, con Padre Ciolini, mio insegnante di religione al Miche a cui, unico a Firenze, sponsorizzai da presidente di
Fiorentinagas i suoi «colloqui», con Padre Bux e col delegato vaticano Padre Jaeger, tenni un incontro sullo statuto internazionale di Gerusalemme, il sindaco Domenici invitato ci degnò di uno sbrigativo biglietto di saluto. L’Ambasciatore israeliano, Ehud Gol, anche lui invitato a parlare insieme a quello palestinese, ci trasmise un messaggio che imbarazzerebbe il mio amico Valentino Baldacci. Era questa la dimensione da praticare che si legava a quella popolare fatta di artigiani, di operai, di nobili vintage, di grandi antiquari come è ancora Giovanni Conti, di poveri veri, che dava spessore umano e cristiano; per farlo bisognava combattere lo sradicamento e l’espulsione del popolo fiorentino che, a partire almeno dall’Alluvione, trasformavano il centro storiprimavera co. Già nei primi anni Settanta un’inchiesta che condussi con Chiara Giunti e l’architetto Luigi Bicocchi, compagno di strada e maestro per una storica rivista militante Città Classe, rivelava che erano ben 25 mila gli alloggi sfitti. Per dire che l’esito odierno, lo stravolgimento dell’identità urbana, muove da lontano. Avevo allora una parente acquistata, Maria, una vecchia bambina del Bigallo, che viveva in via del Corso in tre stanze su tre piani, cenava quasi tutte le sere in una latteria di via Sant’Elisabetta ed il marito, il mitico «zio Paolino», giuocava a carte di giorno nei bar del quartiere, perché allora intorno a Duilio48 c’era un quartiere. Mi rifugiai da loro per sfuggire alle cariche della polizia in occasione del comizio elettorale di Almirante in piazza della Signoria nella del 1972, quando gli «astratti furori» prevalevano sulla visione storica.
Giuliano Sarti dichiarò che al suo arrivo nel 1955 per vincere lo scudetto «Firenze era bellissima» e questo stupore mi è sempre apparso una sorta di manifesto da opporre al parco archeologico attuale che trovo ineccepibilmente perfetto ma freddo, svuotato di vita reale. Un museo a cielo aperto, ma non più una città pulsante e ricca di opportunità e di futuro. Potremmo fare l’elenco delle occasioni perdute, lo abbiamo fatto tante volte, l’ultima è stato il Nuovo Pignone, a cui mi lega tra l’altro la storia del mio nonno materno e non poteva bastare la «Cara Palla» dell’ottimo Cama e dell’indimenticabile Mariotti per salvare Santo Spirito e dintorni da un declino scritto ma non inevitabile, a cui Vigna poteva opporre solo provvedimenti tampone. Va peraltro rivendicato, per non cadere nel revisionismo negativo, il ruolo esercitato dalla politica culturale fiorentina del ventennio 1975-1995 nell’arginare il fenomeno di spoliazione del tessuto storico, riproponendone l’attualizzazione nell’artigianato, nella moda, nell’informatica, nella piccola e media impresa della terza provincia industrializzata d’Italia, Prato inclusa ovviamente. Questa idea di città che vive ancora dentro di noi, quella dei preti popolari come don Renzo e così cari all’intelligenza mai doma di Giovanni Pallanti, va custodita e resuscitata con tenacia certosina, anche nella memoria dei suoi abitanti spesso ignari.
Il 2021 sarà l’anniversario della morte di Dante, impediamo che si riduca alla solita rituale esibizione di memorie patrie. Inventiamoci, noi vecchi e nuovi amici «neobenedettini», con le nostre forze, un discorso che ricolleghi senza retorica quella Firenze industriale e finanziaria, avanguardia assoluta della centralità del lavoro umano, alle grandi problematiche della globalizzazione e della rivoluzione digitale che ridisegnano l’antropologia del secolo.
Si può fare, abbiamo le relazioni e la conoscenza necessarie, si deve fare perché la Storia non è finita.
❞ Per l’anniversario della morte di Dante ricolleghiamo la Firenze industriale e finanziaria alle grandi problematiche della globalizzazione e della rivoluzione digitale che ridisegnano l’antropologia