«Le imprese guardino a Oriente Chi non cambia sarà comprato»
Lattanzi (Imt): un errore aver scelto le banche per tamponare l’emergenza
Piccole, poco capitalizzate, indebitate, fragili. Le imprese toscane rischiano veramente il collasso perché «la pandemia ha accelerato i problemi che già c’erano e le criticità saranno ancora maggiori per chi era già in difficoltà». Così la pensa Nicola Lattanzi, professore di economia aziendale alla Scuola IMT Alti Studi di Lucca.
«Più che un problema di liquidità, quello posto dall’epidemia di Coronavirus è un problema di geopolitica e di geoeconomia, perché gli scenari emersi dopo la seconda Guerra Mondiale, all’interno dei quali l’Italia aveva trovato una propria posizione di relativa tranquillità, stavolta saranno completamente ridisegnati. E le imprese, soprattutto quelle toscane che sono fortemente orientate alle esportazioni, devono farsi trovare pronte al cambiamento, altrimenti rischiano di essere tutte comprate».
Il professor Lattanzi usa l’immagine del metronomo per indicare l’Europa che adesso oscilla tra Oriente e Occidente, con «il progetto della Via della Seta che subirà una forte accelerazione e costringerà le nostre imprese fino ad oggi attive sull’asse Europa-Occidente a muoversi anche sull’asse EuropaOriente. È inevitabile. Ma per cogliere questa opportunità va ridisegnata l’architettura dell’organizzazione aziendale: le imprese devono digitalizzarsi e aprirsi, altrimenti falliranno o finiranno in altre mani». Mani probabilmente straniere.
Una sfida non da poco, nella quale il professor Lattanzi vede la Toscana ancora pericolosamente indietro ma con opportunità maggiori rispetto alle economie di altre regioni italiane: «Le aziende toscane sono fortemente vocate all’estero e quindi verrà chiesto loro di aprirsi e cambiare: dovranno rispondere necessariamente di sì se vorranno continuare a vivere nel nuovo scenario internazionale che si sta affacciando».
Difficilmente però riusciranno a farlo da sole. Il mix di misure di sostegno messo in campo dal governo Conte sarà efficace? Non si rischia che gli aiuti vadano ad aziende che erano già decotte prima della crisi del Coronavirus e quindi vengano sostanzialmente buttati via?
«La riforma del fallimento è stata spostata non solo per l’epidemia di Covid, ma anche perché se fosse stata applicata a partire dal prossimo 20 agosto com’era previsto molte imprese sarebbero saltate — dice Lattanzi — Oggi il problema è che per far arrivare alle imprese il reddito di emergenza (i prestiti garantiti dallo Stato, ndr) si è scelto il canale bancario: è come aver fatto un oleodotto, averlo riempito di liquido ma non averci messo il rubinetto». I soldi non arrivano a destinazione, oppure arrivano con il contagocce. Perché? «Perché il credito di emergenza deve essere comunque restituito alle banche e non può essere scisso dal credito commerciale, ovvero dai soldi che le banche prestano per lo sviluppo dell’impresa. È fondamentale armonizzare questi due aspetti. E non credo che i soldi vadano a chi non li merita: darli a chi può renderli è la lezione del 2008, una lezione che è stata appresa». Insomma, si dà per l’emergenza, ma quando ti siedi in banca per ottenerlo, il credito viene dato solo a chi ha i requisiti fondamentali a posto. Quindi? «Chi ha tempo non aspetti tempo, acceda alla liquidità che è stata immessa nel sistema ma non lo faccia per gestire l’emergenza. Alzi la testa e prenda i soldi per investirli nello sviluppo e organizzare un’azienda in grado di guardare sia a Ovest che a Est, altrimenti non c’è futuro».
A livello sociale cosa ci attende? «Un’economia che crescerà a macchia di leopardo, con aziende che cresceranno e altre che falliranno nel raggio di 20 chilometri di territorio: una disomogeneità alla quale qui in Toscana non siamo abituati. L’augurio è che non si spezzino le filiere», cioè i rapporti tra le grandi aziende e i loro fornitori sul territorio, perché «altrimenti l’ondata di ritorno che subiremo in autunno sarà ancora più problematica di quel che possiamo prevedere», conclude Lattanzi.
❞ L’asse con l’Occidente non basta più, la crisi ha ridisegnato gli scenari internazionali