La lettera
Firenze, la cultura e il ruolo coperto dal teatro del Maggio
Carissimo direttore, leggo sul Corriere Fiorentino di domenica 14 giugno lo sprezzante e sommario giudizio di Stefano Passigli sulla presenza del Maggio Musicale nella cultura fiorentina perché il Maggio avrebbe iniziato dagli Anni ‘50 «un lungo declino». Un affermazione provocatoria per la onorabilità e la professionalità di tutti quelli che, da quegli anni, hanno dedicato al Maggio intelligenza ed energie.
Ad incominciare proprio dagli Anni ’50: quando il Maggio di Gui, di Siciliani e di Mitropoulos e della Callas, realizzò quella straordinaria «Rossini Renaiscence» così apprezzata in Italia e in tutta Europa.
Per continuare con gli Anni Sessanta con Roman Vlad, Bartoletti e i Maggi sull’espressionismo e gli anni successivi di Alberti; di Muti, di Bogianckino; quelli di Mehta, di Ronconi, di Pizzi e di Mazzonis. Una lunga storia che portò il Teatro del Maggio, la sua orchestra ed il suo coro a poter competere, ancora agli inizi del nuovo millennio, con teatri, come la Scala, ben altrimenti dotati di tradizione e finanze. Un attacco gratuito e fuori luogo, mi sembra, che stupisce provenendo da chi, come Passigli, ha frequentato per anni la musica fiorentina come presidente degli «Amici della Musica» e dovrebbe, perciò sapere che ben altre sono le debolezze di Firenze. Almeno nel mondo della musica.
Ti chiedo scusa, dello sfogo non reprimibile e ti saluto con la amicizia che sai.