ORA SI PUÒ SPERARE, PERÒ VIETATO ABBASSARE LA GUARDIA
Certi comportamenti dissennati e i dati che arrivano dall’estero destano allarme. Però abbiamo imparato difenderci dal virus: continuiamo a farlo
Dopo tre mesi di lockdown, prima totale e poi parziale, stiamo ritornando ad una vita quasi normale, sia pure con pensieri che oscillano tra la speranza che questo brutto periodo appartenga ormai al passato della nostra vita ed il timore che esso possa ripetersi facendoci precipitare nuovamente in una situazione analoga a quella vissuta nella primavera scorsa. Sfortunatamente, almeno in questo momento, la scienza non può fornire risposte sicure e definitive a questo nostro dilemma esistenziale.
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Le informazioni che si susseguono giorno dopo giorno da parte dei «santoni» che si alternano nei vari programmi televisivi fanno spesso variare il nostro umore tra due estremi, cioè quello di un ottimismo eccessivo o quello di un pessimismo quasi terroristico. In assenza di documentazioni scientifiche certe sul futuro occorre di conseguenza ricorrere ad ipotesi basate su una visione meno emotiva e più razionale possibile, in quanto aderenti alle esperienze del recente passato ed alle informazioni del presente.
I motivi di timore
I motivi di timore sono principalmente quattro: 1) la carenza di informazioni scientifiche certe sulle caratteristiche comportamentali di questo virus, essendo questa la prima volta che esso compare sul nostro pianeta; 2) la scarsità delle conoscenze sulle modalità con cui il virus medesimo viene affrontato dal sistema immunitario; 3) i dati epidemiologici riportati di recente in altri Paesi del mondo, che pure sembravano aver registrato una estinzione definitiva o quasi della epidemia; 4) la possibilità di comportamenti anomali o addirittura dissennati di una parte della popolazione del nostro Paese.
Con riferimento al primo punto, sappiamo con certezza che il virus Covid-19 è di origine animale e non laboratoristica e rappresenta il risultato di una delle infinite mutazioni genetiche sulle quali si è fondato il processo evolutivo delle diverse specie del nostro pianeta e che sono basate su due principali motori, il caso e la necessità. Tuttavia non conosciamo ancora i fattori che favoriscono la diffusione e la moltiplicazione di questo virus negli organismi umani. Sappiamo che il contagio avviene attraverso le goccioline di saliva emesse dai soggetti sintomatici con la tosse o con gli sternuti, ma anche sia pure in misura minore dai soggetti asintomatici, cioè da persone apparentemente indistinguibili da quelle non infettate, attraverso la respirazione ed il dialogo vocale ed in questo secondo caso l’emissione del virus è molto più copiosa quanto più il tono della voce risulta elevato. La possibilità di contagio attraverso queste diverse vie si accentua ovviamente all’interno di ambienti chiusi, mentre appare più difficile all’aperto, a meno che la respirazione o il dialogo non avvenga in stretta vicinanza ed in assenza di una protezione della bocca e del naso mediante l’uso di mascherine e, nel caso del contagiando, anche degli occhi mediante gli occhiali. Non abbiamo invece informazioni certe sulla influenza nella diffusione e nella moltiplicazione del virus da parte dei fattori meteorologici o di altri fattori ambientali, in quando esistono dati contrastanti sull’effetto favorente o protettivo della temperatura elevata, del tasso di umidità relativa o assoluta, nonché della presenza o meno di particelle fini di tipo inquinante. Pertanto, la speranza che il Covid-19 si eclissi con l’arrivo della stagione estiva (come avviene per i classici virus di tipo influenzale) si basa esclusivamente sul fatto che in tale stagione gran parte delle nostre attività si svolgono all’aperto anziché in ambienti chiusi.
Il secondo motivo di timore e di perplessità deriva dalla imperfetta conoscenza delle modalità di risposta del sistema immunitario nei confronti del virus e sul ruolo che alcune di tali risposte possano avere perfino nel contribuire in una parte della popolazione (specie quella di età avanzata) a provocare danni gravi, legati ad un eccesso di reazione infiammatoria, e persino un esito fatale. A tale proposito sono in corso studi anche qui a Firenze nel laboratorio di Immunoallergologia, da me fondato e diretto fino a dieci anni fa, da parte di miei allievi coordinati dal professor Francesco Annunziato, che è adesso il responsabile del laboratorio. I risultati di questi studi, parte dei quali già pubblicati e parte in corso di pubblicazione, sembrano in linea con l’ipotesi formulaun ta alcuni mesi fa dal professor Andrea Crisanti dell’Università di Padova secondo la quale l’infezione si esprime con maggior severità quando il virus viene «rimbalzato» più volte sullo stesso individuo. Una tale osservazione è del resto in accordo con i dati epidemiologici secondo i quali le infezioni più numerose e più gravi si sono verificate nelle situazioni ambientali dove il «rimbalzo» del virus è facile, come avvenne all’inizio dell’epidemia nel pronto soccorso di alcuni ospedali, ma poi anche in numerose Rsa e nell’ambito familiare.
Il terzo fattore di preoccupazione deriva dai recenti dati epidemiologici provenienti dalla Cina, ed in parte anche dalla Corea del Sud, dove l’epidemia sembrava pressoché estinta. Invece proprio pochi giorni fa nell’area di Pechino si è registrato un grosso focolaio di infezione che ha costretto le autorità cinesi a dichiarare a partire dall’11 giugno un nuovo lockdown, simile a quello effettuato a Wuhan nello scorso mese di gennaio. Un altro grande focolaio di infezione è stato segnalato in questa settimana tra i lavoratori di un mattatoio della Westfalia in Germania (circa 400 casi positivi su 500), costringendo le autorità sanitarie di quella regione ad obbligare la quarantena per circa 7.000 persone. Questi recenti rilievi epidemiologici destano notevole preoccupazione perché dimostrano la possibilità da parte del virus di riemergere anche quando esso sembra quasi scomparso e quindi suggeriscono la possibilità che una simile evenienza sia possibile anche nel nostro Paese.
Il quarto motivo di timore è legato alla constatazione che eccesso di sicurezza possa indurre una parte della popolazione a comportamenti anomali o dissennati, quali quelli verificatisi nelle movide dei Navigli di Milano o di Sant’Ambrogio e Santo Spirito a Firenze o a Napoli in occasione della festa seguita alla vittoria nella Coppa Italia di calcio, situazioni nelle quali sono state completamente trascurate le misure di sicurezza ormai sperimentate e finora diffusamente adottate, quali il distanziamento e la protezione del volto con le mascherine.
I motivi di speranza
I motivi di speranza che una ripresa dell’epidemia non si verifichi nel nostro Paese sono tuttavia molteplici e si basano essenzialmente sulle esperienze finora acquisite. Esse ci hanno insegnato che la diffusione del contagio avviene soprattutto quando si realizzano condizioni di assembramento, specialmente in ambienti chiusi e vengono trascurate le misure di distanziamento e la protezione del volto con la mascherina.
Un altro motivo di speranza è la presa di coscienza da parte delle autorità nazionali dell’importanza e della necessità della ricerca del virus su larga scala attraverso l’uso dei tamponi naso-faringei e non solamente nei soggetti sintomatici, come inizialmente sostenuto con pervicacia da parte di rappresentanti italiani della Oms e da alcuni membri dello stesso Comitato tecnico-scientifico, ma anche e soprattutto in quelli asintomatici, possibili portatori «silenziosi» del contagio. A questa conquista (per la quale io mi sono battuto vigorosamente, come può essere evinto dai miei precedenti articoli su questo giornale) si è ora aggiunta la possibilità degli screening sierologici i quali, pur avendo una valenza di valore più epidemiologico che diagnostico, possono contribuire alla identificazione di possibili fonti di contagio. È di recente entrata in funzione anche la lungamente attesa app Immuni, che ritengo tuttavia di minor valore a causa della necessità per la sua efficacia che essa sia scaricata da almeno il 60-70% della popolazione, un evento che ritengo difficile, se non impossibile.
Esistono poi le affermazioni di medici esperti come il professor Zangrillo, il professor Remuzzi ed il professor Bassetti, i quali hanno rilevato la «scomparsa del virus a livello clinico», cioè la drammatica riduzione dei casi di infezione caratterizzati da malattia grave (come del resto dimostrato anche dall’ormai quasi totale svuotamento dei reparti di terapia intensiva). Sulla base di alcuni studi volti a valutare la carica virale dei tamponi rinofaringei effettuati attualmente in confronto con quella dei tamponi del periodo marzo-aprile scorsi sembrerebbe che questa «scomparsa clinica del virus» sia legata ad una notevole riduzione delle cariche virali rispetto al periodo precedente. Queste osservazioni sono state riferite solamente a livello divulgativo ma, non esistendo ancora pubblicazioni scientifiche in merito, rappresentano allo stato attuale solamente dei rilievi di natura aneddotica.
L’ultimo, ma certamente il più importante, tra i motivi di speranza viene dalle informazioni sull’allestimento di un vaccino anti Covid-19. Vi sono numerosi gruppi di ricerca impegnati in diversi Paesi del mondo a sviluppare il vaccino e le notizie filtrate finora risultano in genere positive. Alcuni vaccini sono non solamente in una fase avanzata di allestimento, ma addirittura della sperimentazione su volontari umani, con risultati preliminari che vengono definiti soddisfacenti. Dobbiamo coltivare la speranza che qualcuno di questi vaccini sia disponibile prima possibile e sia magari anche capace di generare un’immunità duratura. Questa rappresenta certamente la nostra speranza più grande. Fino a quel momento sarà però indispensabile continuare ad osservare le due principali misure di prudenza (distanziamento e uso della mascherina) già più volte menzionate.
❞ Mancano informazioni scientifiche certe su come si comporta il Covid-19 E i focolai riesplosi in Cina e anche in Germania sono motivi di fondato timore
❞ Tra i motivi di speranza che la pandemia non si ripresenti in Italia c’è la presa di coscienza delle autorità dell’importanza di una ricerca del virus su larga scala con test e tamponi