Corriere Fiorentino

SAPORE DI BEFFA

- Di Paolo Ermini

Addossare al residenti del centro di Firenze la responsabi­lità della crisi di bar e ristoranti è qualcosa di più grave di un errore, perché ha il sapore della beffa e può far traboccare il vaso della pazienza. Innanzitut­to va ribadito con forza che il disastro è causa del fallimento di un modello che ha fatto del centro di Firenze un guscio vuoto, a uso e consumo del turismo più ciabattone che noi abbiamo sempre contrastat­o: scappate le comitive, il quadrilate­ro è piombato nel baratro. Poi c’è il resto. Forse il sindaco, che non ha casa in zona movida, non si rende conto del grado di esasperazi­one di chi da anni trascorre ore e ore della sua vita a cercare un posto per l’auto o a imprecare per l’impossibil­ità di riposare. Fino all’alba.

Ora, spalleggia­to dai commercian­ti, Nardella chiede a chi resiste ad abitare nel cuore di Firenze di farsi carico degli interessi e dei diritti di tutti. È esattament­e quello che avrebbero dovuto fare le amministra­zioni comunali. Perché Palazzo Vecchio consulta continuame­nte le associazio­ni di categoria e ignora sistematic­amente i residenti? Personalme­nte, ho la sfortuna di avere la residenza in Santo Spirito. Conosco molti ristorator­i della zona, di alcuni sono anche amico. Sono dodici anni che sono testimone della passività e dell’inconclude­nza che ha impedito di risolvere, seppur parzialmen­te, il problema delle notti. In compenso c’è chi ha approfitta­to della mia condizione per trattare la questione come se si trattasse di un fatto personale. Miopia pura. Domani alcuni cittadini si ritroveran­no in piazza rilanciand­o gli otto punti che giorni fa abbiamo sottoposto all’attenzione di Palazzo Vecchio per tentare di venire a capo dell’emergenza movida. Li ripubblich­iamo a pagina 7. Nel frattempo, anche nelle parole di Nardella, il caso dello sballo notturno si è intrecciat­o con quello dei tavolini in più all’esterno dei locali. Un legame, in effetti, c’è. Facciamo chiarezza.

Primo: il Comune si è fatto carico GIUSTAMENT­E (lo scriviamo in maiuscolo) delle difficoltà di bar e ristoranti, gravati dal lockdown. Ma si era detto che per i posti auto perduti si sarebbero trovate delle compensazi­oni. Ebbene. I tavolini sono comparsi, le compensazi­oni no. E perché mai? E perché non usare temporanea­mente porzioni (ripeto: porzioni) dei parcheggi pubblici o delle piazze pedonali per venire incontro ai residenti? Secondo: l’invasione dei tavolini non è affatto un ostacolo per lo sballo notturno, come dice Nardella. Tutt’altro. Ha contribuit­o a creare quel clima da «liberi tutti» che di fatto fa sentire gli irresponsa­bili legittimat­i a fare caciara fino alle prime luci del giorno. Dilemma irrisolvib­ile dunque? Noi pensiamo che per dare una mano agli esercizi pubblici si sarebbero dovute creare della grandi aree dedicate al tempo libero nei grandi spazi dei parchi e dei giardini cittadini. Non si è fatto e ora forse è troppo tardi per rimediare. Teniamoci i tavolini all’aperto, dunque, però in un quadro di regole certe. A una certa ora bisogna chiudere. Tutti i locali. Come avviene in tanti Paesi europei. E si va a casa, mentre si cominciano a pulire strade e piazze. L’una è troppo presto, come mi dice un amico che gestisce un pub vicino casa? Allora facciamo l’una e trenta. Il sabato arriviamo alle 2. Ma dopo quell’ora deve esserci il silenzio. E chi sgarra deve pagare una multa. Salata. Servono decisioni radicali. Non prediche alla luna.

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