SAPORE DI BEFFA
Addossare al residenti del centro di Firenze la responsabilità della crisi di bar e ristoranti è qualcosa di più grave di un errore, perché ha il sapore della beffa e può far traboccare il vaso della pazienza. Innanzitutto va ribadito con forza che il disastro è causa del fallimento di un modello che ha fatto del centro di Firenze un guscio vuoto, a uso e consumo del turismo più ciabattone che noi abbiamo sempre contrastato: scappate le comitive, il quadrilatero è piombato nel baratro. Poi c’è il resto. Forse il sindaco, che non ha casa in zona movida, non si rende conto del grado di esasperazione di chi da anni trascorre ore e ore della sua vita a cercare un posto per l’auto o a imprecare per l’impossibilità di riposare. Fino all’alba.
Ora, spalleggiato dai commercianti, Nardella chiede a chi resiste ad abitare nel cuore di Firenze di farsi carico degli interessi e dei diritti di tutti. È esattamente quello che avrebbero dovuto fare le amministrazioni comunali. Perché Palazzo Vecchio consulta continuamente le associazioni di categoria e ignora sistematicamente i residenti? Personalmente, ho la sfortuna di avere la residenza in Santo Spirito. Conosco molti ristoratori della zona, di alcuni sono anche amico. Sono dodici anni che sono testimone della passività e dell’inconcludenza che ha impedito di risolvere, seppur parzialmente, il problema delle notti. In compenso c’è chi ha approfittato della mia condizione per trattare la questione come se si trattasse di un fatto personale. Miopia pura. Domani alcuni cittadini si ritroveranno in piazza rilanciando gli otto punti che giorni fa abbiamo sottoposto all’attenzione di Palazzo Vecchio per tentare di venire a capo dell’emergenza movida. Li ripubblichiamo a pagina 7. Nel frattempo, anche nelle parole di Nardella, il caso dello sballo notturno si è intrecciato con quello dei tavolini in più all’esterno dei locali. Un legame, in effetti, c’è. Facciamo chiarezza.
Primo: il Comune si è fatto carico GIUSTAMENTE (lo scriviamo in maiuscolo) delle difficoltà di bar e ristoranti, gravati dal lockdown. Ma si era detto che per i posti auto perduti si sarebbero trovate delle compensazioni. Ebbene. I tavolini sono comparsi, le compensazioni no. E perché mai? E perché non usare temporaneamente porzioni (ripeto: porzioni) dei parcheggi pubblici o delle piazze pedonali per venire incontro ai residenti? Secondo: l’invasione dei tavolini non è affatto un ostacolo per lo sballo notturno, come dice Nardella. Tutt’altro. Ha contribuito a creare quel clima da «liberi tutti» che di fatto fa sentire gli irresponsabili legittimati a fare caciara fino alle prime luci del giorno. Dilemma irrisolvibile dunque? Noi pensiamo che per dare una mano agli esercizi pubblici si sarebbero dovute creare della grandi aree dedicate al tempo libero nei grandi spazi dei parchi e dei giardini cittadini. Non si è fatto e ora forse è troppo tardi per rimediare. Teniamoci i tavolini all’aperto, dunque, però in un quadro di regole certe. A una certa ora bisogna chiudere. Tutti i locali. Come avviene in tanti Paesi europei. E si va a casa, mentre si cominciano a pulire strade e piazze. L’una è troppo presto, come mi dice un amico che gestisce un pub vicino casa? Allora facciamo l’una e trenta. Il sabato arriviamo alle 2. Ma dopo quell’ora deve esserci il silenzio. E chi sgarra deve pagare una multa. Salata. Servono decisioni radicali. Non prediche alla luna.