«Ai fiorentini dico: attenti al Gattopardo, è l’ora del coraggio»
L’ex sindaco Primicerio: dal cardinale Betori un messaggio di speranza Bisogna avere coraggio, anche il coraggio di rinunciare a parte del profitto
«Guai a tornare alla solita ruotine pre-Covid. Servono scelte coraggiose per la rinascita e la ripartenza della città. Il bene collettivo viene prima del profitto». Mario Primicerio torna sull’omelia di San Giovanni dell’arcivescovo di Firenze Betori.
Non era a Santa Maria del Fiore ma Mario Primicerio ha letto con attenzione l’omelia di San Giovanni del cardinale Giuseppe Betori, la più politica degli ultimi anni. In cui l’arcivescovo ha chiesto che per la rinascita di Firenze si tenga conto delle parole di Giorgio La Pira, di un progetto che contenga «bellezza, riposo, contemplazione, pace, proporzione, misura». E ha sottolineato che occorre «essere pronti a rinunciare a tutto ciò che magari può portare profitto ma entra in conflitto con questi principi superiori, che sono il volto di Firenze». E l’ex allievo di La Pira ed ex sindaco invita a «scelte coraggiose».
Professor Primicerio, il cardinale ha sottolineato che servono nuove parole chiave per ripensare Firenze.
«Ho letto la sua omelia e la trovo sintetica ed incisiva. Importante e molto bella. È un messaggio di speranza come città dove, come disse La Pira e come ha ricordato Betori mercoledì, ci deve essere un posto per la casa, uno per il lavoro, uno per la chiesa, uno per la scuola, uno per l’ospedale. Insomma la città come cantiere di cittadinanza e di diritti e doveri. E la città è metafora per indicare tutti noi collettivamente, per sottolineare che occorre un equilibrio in cui non ci sono prevaricazioni e la logica individuale non deve prevalere».
Doveri, appunto: come
❞ Firenze è città del mondo e deve accogliere tutti, ma in primo luogo è dei fiorentini In centro serve più trasporto pubblico per i residenti: sì, anche il tram
cambiare? Basta pensare come è tornata in fretta la malamovida.
«Occorre lavorare a livello culturale, lavorare tanto. Anche perché la società negli anni ha sdoganato egoismo e furbizie. Però Firenze a mio avviso ha risposto bene sul rispetto delle regole durante la pandemia ed anche la reazione immediata al “liberi tutti” è stata meno intensa che in altre città».
Un’omelia «politica».
«L’arcivescovo sa bene qual è il ruolo della Chiesa, e infatti non entra nel merito delle scelte, non si mette a dire cosa fare. È la politica che deve fare le scelte. La Chiesa è accanto al credente e ai non credenti, più che mai in questi momenti difficili come ha testimoniato con forza Papa Francesco nella sua passeggiata in piazza San Pietro deserta. E come diceva don Milani, di cui proprio oggi (ieri, ndr) ricorre il 53esimo anniversario della scomparsa, se c’è un problema “sortine da soli è avarizia, sortine insieme è politica”. Firenze ha dato grande esempio, ancora una volta, di solidarietà; facciamo sì che non si riaddormenti in un discorso individuale come è già successo, ad esempio dopo l’alluvione del ‘66».
Betori ha affermato che questo periodo ha mostrato cosa è essenziale e cosa no: lei crede che cambieremo dopo la pandemia?
«Dei giorni sono ottimista e penso di sì, altri penso il contrario. Di certo chi spera che tutto torni come prima ha una prospettiva di corto respiro, piccina, lo dice solo perché lui prima stava bene. Invece occorre “misura”, che è anche lo spazio per riposare, anche se questo non si ottiene due giorni».
E Firenze cambierà?
«Il messaggio di Betori, il messaggio che era di La Pira — e non sono “cose vecchie”, ma questioni attualissime e che per troppo tempo sono state trattate con disattenzione — è che tutti insieme possiamo uscirne, curando in particolare chi è stato più colpito, anche negli affetti più cari. E farlo anche se nell’immediato questo significa qualche sacrificio per qualcuno. Non si deve tornare alla routine, servono scelte coraggiose. Ci sono tante forze che vogliono che tutto torni come prima, come nel “Gattopardo” e dobbiamo evitarlo».
Il cardinale ha detto che si può e si deve anche rinunciare al profitto per la rinascita della città.
«Esattamente. Scelte coraggiose può voler dire anche un profitto inferiore a prima. Il bene comune alla lunga è il bene di tutti».
Il centro deserto a causa della pandemia ha svelato la fragilità ed insostenibilità del modello di sviluppo basato sul turismo di massa. Che fare?
«Firenze è città di tutto il mondo e deve accogliere tutti, ma è in primo luogo città dei fiorentini. Occorre contemperare queste due esigenze. Magari con più trasporto pubblico in centro, oggi è insufficiente, spero anche col tram, che agevoli i residenti».
La monocultura turistica è stata più responsabilità del privato o del pubblico?
«Il pubblico non può fare da solo, il privato neppure. Per cambiare occorre cambiare insieme coscienze e strutture, per usare categorie cristiane e marxiste».
Si può puntare di più sulla cultura? Supportarla maggiormente?
«La cultura non deve aspettare... Deve trovare in se stessa più forza. Per essere presente anche nella contemporaneità, nella socialità, nel futuro. Un futuro che Firenze deve costruire attraverso scuola, formazione, riceva, università ed abbiamo le potenzialità per farlo. Ad esempio con l’anno scolastico a settembre ci sarà l’educazione civica, per l’iniziativa partita da Firenze e dal sindaco Dario Nardella: è una occasione per educare ed educarci, per lavorare sulla cittadinanza ed i giovani, che sono il nostro patrimonio».
❞ Durante l‘emergenza abbiamo dato grande esempio di solidarietà Ora non riaddormentiamoci in un discorso individuale come è già successo dopo l’alluvione del ‘66