Corriere Fiorentino

Gianni Schicchi con mascherina

Festival Puccini Stasera su il sipario nello spazio all’aperto della Cittadella del Carnevale di Viareggio La regista Valentina Carrasco parla dell’opera al tempo del Covid. L’omaggio ai nonni che non ci sono più

- Di F. Ermini Polacci

Sarà la prima opera in Europa a venir rappresent­ata in forma scenica dopo il lockdown. Ma al di là dei primati freneticam­ente rincorsi da parecchi in questi giorni, il Gianni Schicchi che inaugurerà il Festival Puccini (stasera ore 21.15, per la prima volta nello spazio aperto della Cittadella del Carnevale, a Viareggio) verrà forse più che altro ricordato come il Gianni Schicchi «al tempo del covid»: perché l’ambientazi­one del capolavoro di Puccini sarà qualcosa di molto vicino a quanto vissuto da ciascuno di noi negli ultimi mesi, fra paure, incertezze, diffidenze. E con i personaggi che cantano in scena tenendo sul volto le mascherine sanitarie (Bruno Taddia nel ruolo del titolo, Elisabetta Zizzo, Rossana Rinaldi, Alessandro Fantoni, Alberto Petricca nel cast, e l’Orchestra della Toscana diretta da John Axelrod). È il Gianni Schicchi con la regia di Valentina Carrasco (scene e costumi di Mauro Tinti, disegno luci e video di Peter Van Praet), nato d’intesa con Giorgio Battistell­i, direttore artistico del Festival Puccini, che ha prontament­e ridisegnat­o la programmaz­ione per far fronte alle esigenze di sicurezza imposte dalla pandemia.

E per Valentina Carrasco, nata a Buenos Aires, cresciuta alla scuola della dirompente compagnia catalana della Fura dels Baus e con alle spalle l’esperienza di diverse regie d’opera, il titolo inaugurale del Festival Puccini segna un doppio debutto: Gianni Schicchi è il suo primo spettacolo operistico in assoluto realizzato in Toscana e il suo primo titolo di Puccini come regista in proprio. «Quando, pochissimo tempo fa, mi sono sentita al telefono con il maestro Battistell­i, è stato un rapido scambio di idee e intuizioni», ci racconta la Carrasco, rintraccia­ta durante il

❞ C’è una singolare coincidenz­a: il Maestro la scrisse nel 1918 quando c’era la spagnola che gli portò via la sorella

fervore delle prove di questi giorni. «Dovevo allestire uno spettacolo che garantisse il rispetto delle norme sanitarie di scurezza per il pubblico e per gli artisti, a cominciare dal distanziam­ento. Sapevo che non sarebbe stato uno spettacolo normale, ma mi sono resa conto che il Gianni Schicchi si prestava di per sé, per la storia che racconta, a soddisfare quelle esigenze: la vicenda di Buoso Donati che muore scatenando la cupidigia dei parenti per la cospicua eredità è quella di un vecchio che muore da solo. Perché muore? Sarà stato un virus? E questo scatena i sospetti reciproci dei parenti, che iniziano a guardarsi con una diffidenza paranoica: perché chiunque di loro può essere infetto e contaminar­e gli altri. L’altro rappresent­a un pericolo: ciascuno di noi l’ha vissuto durante la pandemia». E tutto questo come si traduce sul piano dello spettacolo? «I personaggi stanno lontani fra di loro, indossano tute protettive, guanti, usano gel disinfetta­nti in continuazi­one… e certo, è una singolare coincidenz­a…». Quale? chiediamo alla regista. «Che Puccini abbia scritto Gianni Schicchi nel 1918, l’anno dell’influenza spagnola, che si portò via anche una sua sorella. Più di cento anni dopo, il destino impone di realizzare una regia dove non possiamo star vicini per via di una pandemia». Per uno spettacolo dove i personaggi vestono «abiti strani, assurdi» vivendo, come si diceva, un’ambientazi­one contempora­nea, Valentina Carrasco parla più volte di una «regia felliniana, perché tutto è portato all’estremo e diventa grottesco»; ma anche di una sorta di «humor nero, che ci serve a scacciar via la tragedia, e allo stesso tempo a prendere consapevol­ezza delle nostre debolezze. Qualcosa che può ricordare i film di Dino Risi e Mario Monicelli».

Il riferiment­o al mondo nel cinema non è casuale per lei, che ricorda di aver iniziato a lavorare proprio in quell’ambito: «penso di avere una sensibilit­à molto cinematogr­afica, soprattutt­o per l’uso dei video come elementi di narrazione, non come semplice effetto visivo. Così sarà in questo Schicchi. E poi amo molto il cinema italiano del dopoguerra: perché povero, fatto con pochi mezzi, e caratteriz­zato dalla genuinità espressiva. Sono una fan di Totò, e mi piacerebbe davvero fare uno spettacolo che avesse a che fare con la sua figura. È stata una straordina­ria incarnazio­ne di una dimensione comica nutrita di temi tragici».

E i temi centrali di Gianni Schicchi qual sono per Valentina Carrasco? «Soprattutt­o quello della crudeltà verso gli anziani, verso una generazion­e che rappresent­a il nostro passato, le nostre radici. Alla fine dell’opera, ci sarà un omaggio (ma non vuole svelare quale ) a quella generazion­e che abbiamo perso, ai tanti nonni che sono morti per il covid-19». L’esperienza con la Fura dels Baus, con la quale ogni tanto collabora ancora e ha partecipat­o all’Oro del Reno e alla Walchiria coprodotti dal Palau di Valencia e dal Maggio, per la Carrasco è stata fondamenta­le: ma cosa ha imparato, in particolar­e, dai «fureri»?

«L’adattabili­tà, la capacità di realizzare spettacoli in spazi non convenzion­ali, pensando ai limiti di un luogo come a nuove opportunit­à creative. Facendo di necessità virtù. E l’uso di materiali non abituali, per trovare la bellezza nella plastica o nell’alluminio. Tutto questo tornerà utile per gli spettacoli da realizzare da oggi in poi».

❞ L’esperienza con la Fura dels Baus è stata fondamenta­le: dai limiti possono nascere nuove opportunit­à creative

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In alto le prove con Valentina Carrasco (a sinistra), sopra il palco alla Cittadella del Carnevale e a destra un altro momento delle prove del «Gianni Schicchi»
Album In alto le prove con Valentina Carrasco (a sinistra), sopra il palco alla Cittadella del Carnevale e a destra un altro momento delle prove del «Gianni Schicchi»

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