L’arcipelago vuoto delle Cascine In attesa di idee
Dopo il blitz anti spaccio, ancora gruppetti fermi per ore lungo la tramvia
«Non si vedono da due giorni». Ha ragione, il titolare del chiosco in piazzale Jefferson. Gli spacciatori arrivavano dal Giardino delle catene fino a lui. Ora non si vedono da lì, almeno da quando non c’è stata l’operazione dei Carabinieri che ha portato in carcere 22 cittadini di varie nazionalità africana per spaccio di droga. Ma diversi gruppi di ragazzi nordafricani ci sono ancora, a poca distanza, tra cui una decina stanno fermi, per ore, alla fermata della tramvia in attesa di qualcosa che, ieri, non accade. Ogni tanto qualcuno di loro si sgancia in bici, poi torna.
I fiorentini sono al mare, i pochi che scendono alla fermata non si avvicinano ai dieci ragazzi, che non gradiscono gli si faccia foto. Dietro alla fermata, nel Giardino delle catene, chiuso dall’altro lato da viale Lincoln, nel piccolo prato ci sono altri loro connazionali che le foto proprio non le sopportano. Si avvicinano quando si accorgono degli scatti e chiedono di cancellarli. Qualcuno spiega che alcuni di loro sono «senza documenti» e hanno paura. «Io sono stato tante volte in galera, conosco tutte le bugie», urla uno in inglese. Un gambiano racconta che «qualcuno qui è tranquillo, altri meno». Lui giura di vendere solo «tabacco e cartine». Questo gruppo si è portato dei carrelli con cibo e bevande, qualcuno si sdraia.
È però questo pezzo del parco urbano più grande di Firenze, dove da anni ci sono denunce per una importante rete di spaccio, la «prima isola» dell’arcipelago Cascine. Scendendo da viale degli Olmi, si arriva alla piscina delle Pavoniere dove raccontano come i carabinieri della caserma do Borgo Ognissanti siano presentissimi e l’operazione di alcuni giorni fa sia stata molto apprezzata. Anche le Pavoniere sono però un’isola nascosta per chi attraversa il parco e fatica a vedere che lì dietro c’è anche un noleggio bici, oltre alle attività della Uisp. Altri 500 metri avanti, il prato del Quercione, il secondo punto ristoro. Qui si gioca a calcio, da sempre. Ora a farlo sono soprattutto sudamericani, hanno porte smontabili e magliette per le squadre. Incuranti del caldo, corrono mentre ai bordi del prato qualche italiano e un paio di turisti (che erano scesi dalla tramvia) prendono il sole o cercano ristoro all’ombra degli alberi.
Ancora 500 metri, l’ingresso dell’abbandonato Ippodromo
delle Mulina. Altro chiosco: «Sì, un po’ di gente ha ricominciato a venire. Ma da qui in poi, c’è il nulla». È vero, la palazzina dell’Indiano è gestita da Virgilio Sieni, «ma non so dirle quando fanno gli eventi». Si prosegue a piedi verso l’anfiteatro: chi ha più di 35 anni si ricorda i concerti gratis di Capossela, Consoli e tanti altri. Si stringe il cuore a vederlo chiuso da cancellate, con l’erba alta che cresce sugli spalti. Intorno, solo due famiglie, qualche corvo. E soprattutto chi corre, che lì ha più ombra che altrove. Tornando indietro, verso via delle Cascine, si entra in via del Visarno davanti agli uffici della polizia municipale e si trova un’altra isola: quella delle famiglie di sudamericani. I grandi hanno portato tavoli e sedie, i giovani giocano a basket.
Sarà il fine settimana che ha svuotato la città, ma si ha l’impressione che le Cascine non siano un parco unico ma tanti vuoti che vengono riempiti da chi si prende lo spazio. Con un ippodromo chiuso e uno aperto pochi giorni (mentre i cavalli delle scuderie che brucano indifferenti accanto alla strada). Con mille attività e presenze (compreso la scuola di Guerra aerea, una facoltà universitaria, un centro di arte sacra) che restano corpi separati. Tutte isole, alcune magari rumorose, altre impenetrabili come quelle dove si susseguono retate contro spacciatori «ma poi tornano dopo pochi giorni» dicono ad uno dei chioschi. Centosessanta ettari che potrebbero essere un Central park ma che, anche visivamente, sono imperscrutabili: basta una siepe, come quella di viale Lincoln, per creare un muro dietro quale non si sa se si pasteggia o si spaccia.