Un colpo ai caporali di città
Migranti costretti a distribuire pubblicità anche per 13 ore, con paghe da fame: 7 arresti
Reclutavano migranti nei centri di accoglienza per migranti o alla Caritas per distribuire volantini pubblicitari, costretti a lavorare fino a 13 ore al giorno, con una paga di 2,5 euro l’ora e controllati con gps.
Reclutavano migranti nei centri di accoglienza per migranti o alla Caritas per distribuire volantini pubblicitari porta a porta con paghe da fame. L’ultima inchiesta sul caporalato condotta dai carabinieri del comando per la tutela del lavoro con i comandi provinciali di Firenze, Prato e Pistoia e coordinata dal pm Antonino Nastasi, non porta tra i campi o le vigne ma lungo le strade delle nostre città dove un esercito di circa 80 sfruttati veniva costretto a lavorare fino a 13 ore al giorno, con una paga di 2,5 euro l’ora (a fronte di 6 euro più contributi previsti dal contratto) e come se non bastasse veniva anche controllato con gps.
Un anno di indagini, tra pedinamenti e intercettazioni, hanno portato a undici misure cautelari. In carcere sono finiti tre pakistani, due uomini originari del Mali e un tunisino, un’italiana è finita agli arresti domiciliari, altri tre pakistani e un marocchino hanno l’obbligo di dimora. L’accusa è di sfruttamento del lavoro e intermediazione illecita.
I pakistani Riasat Ali, 34 anni, e Rouf Ahmad, 38 anni, residenti a Prato, secondo quanto ricostruito dall’inchiesta della Procura guidata da Giuseppe Creazzo, sarebbero i «capi», titolari delle aziende che impiegavano i lavoratori per distribuire volantini. Loro organizzavano le squadre e decidevano le paghe. Sono soggetti pericolosi e senza scrupoli, spiega il gip Federico Zampaoli. L’italiana ai domiciliari è Riccarda Rosa Ciochino, 62 anni, residente a Pistoia, dipendente di una ditta di pubblicità che commissionava la consegna dei volantini alle ditte coinvolte. Era lei, secondo l’accusa, a gestire da remoto la suddivisione delle aree da sottoporre a volantinaggio, interfacciandosi con i due pakistani.
Gli altri arrestati erano reclutatori che si occupavano di andare a cercare la manodopera nei Cas (centri di accoglienza straordinaria) negli Sprar (che ospitano richiedenti asilo e rifugiati) o alla Caritas. Due di loro vivevano nei centri per migranti di Scandicci e Campi Bisenzio e questo permetteva loro di poter avvicinare tranquillamente le persone che avevano bisogno di lavorare. I quattro a cui il gip ha dato l’obbligo di dimora sono i capisquadra che accompagnavano sul luogo di lavoro la manodopera controllando quello che facevano.
Disposto poi il sequestro preventivo di beni delle tre società coinvolte con sedi a Prato e in provincia di Massa Carrara, tra cui i sette furgoni utilizzati per portare i migranti in giro per la Toscana, i conti correnti, carte di credito per un valore di circa 500 mila euro. A dare il via alle indagini, ha spiegato il generale Gerardo Iorio che comanda i 101 nuclei dell’Arma specializzati nella tutela del lavoro, è stata una segnalazione della cooperativa che gestiva il Cas di Scandicci alla Prefettura sul lavoro occasionale che svolgeva uno dei migranti ospiti della struttura. Da lì sono partiti gli accertamenti sulle ditte di Riasat Ali ed era così emerso che il migrante non era mai stato assunto dalla ditta.
«Abbiamo riscontrato tutti gli indici di sfruttamento previsti dalla legge — ha spiegato il pm Nastasi — è stata un’indagine difficoltosa per la lingua e per i reati particolarmente odiosi, visto che si sfruttava lo stato di bisogno dei queste persone che erano disponibili a lavorare anche solo per un panino».
A Procura e carabinieri sono arrivate le congratulazioni del sindaco di Prato Matteo Biffoni. «Ancora una volta si dimostra che abbiamo gli anticorpi per contrastare l’illegalità e che l’attenzione di tutte le istituzioni è altissimo per combattere un fenomeno odioso come quello dello sfruttamento lavorativo. Il caporalato deve essere combattuto ed estirpato perché viola i diritti dei lavoratori e droga l’economia, portando a concorrenza sleale e alla mancanza dei principi minimi di sicurezza e giustizia sociale».
Il sistema
I lavoratori venivano cercati alle mense o nei centri per migranti Poi controllati con il gps
Sotto accusa
In carcere tre pakistani, due originari del Mali e un marocchino Un’italiana ai domiciliari