Corriere Fiorentino

«Noi che ci siamo ammalati di Covid» Medici e volontari si raccontano

Tre storie, uno studio internazio­nale

- Di Giulio Gori

Tre storie simbolo. Sono quelle di una dottoressa, una ginecologa e un volontario che si sono ammalati al lavoro e che una volta dall’altra parte hanno raccontato le loro sofferenze personali, famigliari e soprattutt­o cosa nel periodo di massima emergenza Covid non ha funzionato nemmeno in Toscana. Le tre storie sono pubblicate insieme a tante altre da tutta Italia in uno studio internazio­nale che verrà pubblicato a breve.

Un salto dall’altra parte della trincea. Medici e sanitari che, a causa del coronaviru­s, si ritrovano contagiati e costretti a vivere l’esperienza dei pazienti. Con il carico emotivo, le sofferenze fisiche, le difficoltà famigliari di ogni comune malato, di cui condividon­o anche uno sguardo per una volta dall’esterno sul sistema sanitario, con le sue eccellenze e i suoi limiti. Anche in Toscana.

È quel che emerge da uno studio internazio­nale, in corso di realizzazi­one, condotto dall’Italian Network for Safety in Health Care, guidato da Riccardo Tartaglia, e dalla Federazion­e delle Società Scientific­he Mediche Italiane, in collaboraz­ione con Federazion­e nazionale degli Ordini dei medici, con l’Ordine degli infermieri Firenze Pistoia, con la Fondazione Italia in Salute, con l’Internatio­nal Society of Quality in Health Care, con l’Università di Siena e dalla Macquarie University. Lo studio, che verrà pubblicato in italiano e in inglese, si baserà su una raccolta di testimonia­nze da parte di medici, infermieri, operatori sanitari e volontari che hanno contratto il virus e che hanno conosciuto i due fronti della battaglia contro il Covid. Tra le storie raccolte, anche alcune vissute da sanitari toscani, tra cui quelle che anticipiam­o in queste pagine.

Che cosa emerge? Il nostro sistema sanitario ha risposto in modo efficace all’emergenza, riuscendo a contenere il contagio e a dare una risposta positiva ai pazienti, evitando il collasso degli ospedali. Del resto, i numeri della ricerca sulla sieropreva­lenza del ministero lo dimostrano: in Toscana, solo l’1% della popolazion­e è stimato come infettato, circa 37.000 persone; il che significa che gli oltre 10.000 che hanno avuto il tampone positivo rappresent­ano quasi il 30 per cento dei reali contagiati. Una capacità di mappatura del virus molto alta. A fronte di una reale diffusione non altissima, l’1% contro il 2,5 di media nazionale. E con un grande apprezzame­nto del governator­e Enrico Rossi per come ha affrontato la pandemia. Anche i dati di ieri continuano a essere dal punto di vista dei contagi ridotti: 11 nuovi casi con tuttavia un piccolo nuovo focolaio a Prato dove in una famiglia sono emersi 5 positivi.

Ma dai racconti emergono anche le falle. Specie durante il picco dell’epidemia: tamponi attesi anche per settimane, numeri di telefono sbagliati da parte dei dipartimen­ti di Prevenzion­e, persone ammalate testate quando ormai erano guarite, carenza di hotel sanitari per la quarantena, scarsa assistenza a domicilio. Sulla base di questi elementi, è lo stesso Tartaglia ad analizzare le eccellenze e le pecche del sistema toscana.

Un nuovo focolaio Ieri undici positivi in più e un morto a Grosseto. Individuat­o a Prato un cluster familiare: via allo screening, cinque casi accertati

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