NON BUTTIAMO TUTTO ALL’ARIA
Speravo proprio di non dover intervenire nuovamente nel dibattito sul Covid-19, almeno fino all’autunno. Sfortunatamente, nell’ultima settimana si è verificata una chiara tendenza che indica un nuovo incremento del numero degli infettati dal virus (circa 46% in più rispetto alla settimana precedente, nonostante la consistente diminuzione del numero dei tamponi effettuati) e, per la prima volta dal mese di aprile, anche un aumento dei ricoveri in terapia intensiva (circa 17% in più). Inoltre, mentre i casi di nuove infezioni risultavano stabili nelle prime tre settimane di luglio, essi risultano in progressivo aumento nelle quattro settimane successive. Questi numeri rivelano un andamento preoccupante dell’epidemia, che è in parte di origine autoctona e in parte di importazione, quest’ultima causata sia dal rientro di italiani che erano in vacanza all’estero, sia dall’arrivo di stranieri. L’aumento di origine autoctona è stato il risultato di una notevole riduzione del senso di responsabilità individuale e collettiva, soprattutto a livello giovanile dovuta da un lato all’irrefrenabile desiderio giovanile di divertimento e di spensieratezza dopo i mesi del lockdown, dall’altro da una comunicazione pubblica influenzata da messaggi, anche da parte di alcuni eminenti medici e scienziati, che hanno fatto di tutto per minimizzare i rischi. Inoltre i giovani sono divenuti anche consapevoli del fatto che alla loro età l’infezione in genere decorre in maniera asintomatica o provoca sintomi molto lievi. È prevalso quindi l’istinto di godersi il divertimento senza mettere in atto le dovute precauzioni, dimenticando che un tale comportamento può avere gravi se non fatali conseguenze per i loro familiari di età più avanzata che possono essere contagiati. Le situazioni alla base dell’incremento del numero dei contagi sono stati gli assembramenti da movida: in ambienti chiusi come le discoteche, ma anche all’aperto, nelle piazze delle città e nelle località balneari, senza l’osservanza di criteri minimi di sicurezza, che come è ben noto sono il distanziamento di almeno un metro e mezzo e l’uso della mascherina, e in assenza di adeguate misure di controllo e di sorveglianza da parte delle autorità. Peraltro, nel corso delle «movide» e all’interno delle discoteche è consentito l’uso di alcolici che notoriamente riducono i freni inibitori e possono favorire comportamenti sconsiderati.
Mi sembra assurdo che, proprio per evitare assembramenti, siano state chiuse le scuole, i teatri e le biblioteche (luoghi di notevole importanza culturale), mentre vengono tollerati assembramenti con finalità di carattere esclusivamente ludico. Nella conferenza Stato-Regioni di mercoledì sul problema della chiusura delle discoteche non è stato trovato un accordo e la decisione è stata demandata alle ordinanze delle singole Regioni, con la conseguente anomalia di discoteche aperte in alcune e chiuse in altre. Giovedì il presidente della nostra regione, Enrico Rossi, ha espresso una serie di considerazioni, che io condivido pienamente, inclusa quella con cui si è dichiarato favorevole alla chiusura. Nella stessa conferenza Stato-Regioni sul problema dei contagi legati al rientro in Italia da paesi a elevato rischio di contagio o all’arrivo nel nostro paese di abitanti di quelle nazioni c’è stata invece completa concordanza sulla necessità di introdurre misure più efficaci di sorveglianza, e cioè test rapidi e quarantena fino all’esito del risultato. Decisione a mio avviso molto appropriata, perché dovrebbe essere chiaro a tutti che la semplice misurazione della temperatura può avere un impatto assolutamente inadeguato. Esiste però un ultimo problema da considerare e, a mio parere, da risolvere: le misure finora inadeguate a carico di altre due categorie individuate come possibile fonte di infezione di provenienza esterna: i lavoratori stagionali e i migranti provenienti da paesi con elevata prevalenza dell’infezione o da paesi nei quali la prevalenza dell’infezione non è nota per l’assenza di adeguati controlli. Dal punto di vista medico-scientifico ritengo assurdo ed eticamente discutibile consentire l’ingresso incontrollato da paesi ad alto rischio pandemico di persone di età adulta o giovanile che quindi, nel caso siano infettati, sono in grande maggioranza asintomatici o pauci-sintomatici, ma comunque contagiosi. Non comprendo perché non esista un’adeguata sorveglianza nei centri di accoglienza: diversi migranti accolti sono potuti fuggire e scomparire nel nulla, diventando in tal modo sorgente di contagio non tracciabile. Voglio ricordare che nel periodo in cui l’epidemia imperversava in Italia, l’ingresso degli italiani veniva negato da molti paesi, inclusi quelli della Comunità europea. E voglio anche rammentare che a fine febbraio il nostro governo inviò ingenti forze militari per chiudere l’area di Lodi-Codogno e quella di Vo’ Euganeo. Tutti ricorderanno le scene commoventi viste in televisione di persone che lasciavano cibo o altri generi di conforto sulla strada per le persone chiuse nelle zone rosse. Se i posti di blocco sono stati così rigidi per alcuni nostri connazionali, è difficile comprendere perché non si possa affrontare con altrettanta rigidità il problema degli stranieri potenzialmente contagiosi. L’Italia ha già pagato l’epidemia con un numero troppo alto di morti e non potrà permettersi un secondo lockdown, che sarebbe esiziale per la nostra economia. Per questa ragione, ogni fonte di diffusione infettiva accertata, come certi comportamenti a rischio e il ritorno di viaggiatori italiani o l’arrivo di stranieri provenienti da paesi con elevato rischio infettivo o nei quali non vengono effettuati gli appropriati controlli, deve essere bloccata con ogni mezzo.