Siena in piazza anche senza Palio, per premiare chi combatte il virus
Oggi sarà consegnato il Mangia agli operatori sanitari e della protezione civile
«Orsù figlioli dolcissimi, correte questo Palio e fate che solo sia uno quello che l’abbia». L’esortazione di Santa Caterina, senese del rione di Fontebranda, cadrà nel vuoto domani, per colpa del coronavirus. L’anno senza Palio sarà ricordato per sempre da Siena come un anno senza gioia, doloroso per tutti. Trasgressione
epidemica rispetto alla ferrea logica della vita senese, scandita dal concetto di fondo che se è «uno solo quello che l’abbia» il Palio, — cioè che lo vince — per tutti gli altri nell’attimo stesso in cui finisce una carriera da sconfitti, inizia il percorso del riscatto. Non è circostanza da poco che da secoli nel Dna stesso della città sia insita la certezza di potersi tirar su dal baratro di una sconfitta.
Il Palio è la metafora perfetta di questa possibilità ciclica di rifarsi che è una garanzia sostanziale e anche una consolazione rispetto alle vicende contemporanee di una città che per autoctona ingordigia di potere, ha perso tanto negli ultimi anni, la sua banca in primo luogo, il Monte dei Paschi di Siena, divenuto oggi, per non sprofondare, Monte dei Paschi di Stato.
E ci sarà da perseguire il riscatto anche da questa epidemia che ha sottratto turisti a Siena come alle altre città d’arte e che mina anche le certezze dell’arrivo di migliaia e migliaia di giovani che ogni anno scelgono per i propri studi una Università di quasi ottocento anni e l’Università per Stranieri, fino al virus opzione privilegiata dei rampolli della borghesia cinese.
Ma all’anima popolare della città oggi mancano i suoni, gli assembramenti sudati, le ansie e le speranze dei giorni di Palio. Manca letteralmente la terra sotto i piedi, quel tufo color terra di Siena che riempie la pista di Piazza del Campo per compiere un rito secolare. Mancano i rumori degli zoccoli dei cavalli sulla pietra serena, che caracollano verso il Campo seguiti dalla massa dei Contradaioli che cantano per sfidare l’avversaria e la sorte.
Almeno per la presenza fisica dei cavalli nel rione, l’Oca ha fatto come la Torre a luglio: per la gioia dei bambini ha riportato gli eroi vittoriosi nella propria stalla. Un mese e mezzo fa i torraioli riempirono di carezze Berio, oggi 23enne, che nel 2005 riportò la gioia in Salicotto. Stavolta gli avversari di Fontebranda hanno accolto Fedora Saura, Mississippi e Guess. Per consolarsi del Palio che non c’è e che rende nuda la Piazza del Campo senza tufo. Ma non di quella nudità rigogliosa perpetuata dai grandi pittori, piuttosto di una bellezza colta senza veli che induce alla tristezza e alla malinconia.
Oggi però, con uno dei suoi guizzi di riscatto, la città consegnerà proprio nel Campo il premio della riconoscenza, il Mangia, agli operatori sanitari e della Protezione Civile che hanno combattuto nelle trincee dell’epidemia. Sarà l’occasione per rinsaldare il patto antico di una città portata a non mollare mai. Il suo sogno di orgogliosa grandezza fu interrotto da un’altra epidemia, quella della peste, nel 1348, che comunque non riuscì a cancellarne la bellezza, ancora oggi rigogliosa. Il Palio è, in fondo, la sfida di Siena alla storia che continua nonostante il virus, anche se domani dal cuore del Palazzo Pubblico non usciranno i cavalli pronti a sfidarsi. Claude Lévi Strauss ha scritto: «Ora escono i cavalli dall’entrone e vanno al canape: non dire nulla, non chiedere nulla». Per esortare a rispettare il significato intimo di quei barberi che corrono per le Contrade. Nel nome del riscatto di tutti i senesi.
Passato e presente
L’Oca, come la Torre, ha riportato nella propria stalla i cavalli vittoriosi