«Impariamo a convivere con il virus La vita sociale non può più attendere»
«La ripresa della catechesi non è più rinviabile, la collaborazione con la scuola è un servizio»
«Il mio invito per i fiorentini è quello di non perdere la speranza, di non cedere allo smarrimento e alla paura. Il mio appello è al senso di responsabilità di tutti in questo momento così difficile, per affrontare con fiducia, intelligenza e solidarietà il futuro». Il cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, richiama tutti ad agire come comunità in questo momento particolare. Dove la convivenza con la pandemia deve accompagnarsi alla ripresa della vita sociale, dell’azione educativa; anche del catechismo: «Non è più rinviabile — spiega — unendo attività in presenza ed a distanza». E sulla scuola il cardinale sottolinea: «Aver messo a disposizione locali delle parrocchie per la ripresa scolastica è un atto di servizio».
È un momento delicato per la Chiesa e la società. E il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, non nasconde le complessità, ma invita alla fiducia e alla responsabilità. Ad affrontare la convivenza con la pandemia «come comunità».
Eminenza a settembre si torna al lavoro dopo le ferie, inizia il nuovo anno scolastico. Un anno fa si sarebbe parlato di «ritorno alla normalità», ma il 2020 non ha nulla di normale. Cosa accadrà?
«Quest’anno è difficile pensare di programmare qualcosa a fronte della precarietà che la perdurante presenza della pandemia provoca nella vita sociale e anche in quella della Chiesa. Ma come nelle settimane più dure dell’emergenza sanitaria, ci sono alcune indicazioni che restano valide, a iniziare dal nostro convinto contributo al bene comune. Nella Chiesa e nella società vanno evitate scelte individuali e occorre responsabilità, rifuggendo sconforto e superficialità. In sintesi, la riscoperta del fatto che tutti facciamo parte della famiglia umana è da vivere non come una condanna alla dipendenza reciproca ma una sollecitazione alla condivisione solidale; la fragilità è invito a riconoscere la vita come dono e a metterci al servizio dei deboli, coniugando tutela delle persone ed espressioni di vita comunitaria».
Responsabilità: come quella che vi ha portato a concedere i locali parrocchiali per la ripresa della scuola?
«Responsabilità, condivisione, servizio. La collaborazione che tramite le parrocchie abbiamo offerto per la ripartenza della scuola nasce da questo. Ed è soprattutto un modo per dire che alla Chiesa la scuola interessa, e per ribadire l’importanza dell’alleanza educativa tra insegnanti, famiglie e realtà della società civile, nella formazione delle nuove generazioni. L’emergenza sanitaria non deve farci dimenticare un’emergenza che viene da più lontano, quella educativa e questa potrebbe essere per tutti un’occasione per ripensare il nostro dovere educativo».
Come affrontare il ritorno a forme di vita collettiva più avanzate rispetto ai mesi passati, anche nella pratica della fede?
«Se è vero che il futuro non potrà essere una ripetizione del passato, gli scenari aperti dalla comunicazione virtuale potranno accompagnare ma non subentrare al posto della condivisione comunitaria. Occorre riprendere la vita pastorale delle nostre comunità. L’uscita dai tragici giorni segnati da tante morti non significa, come dicevo, la progressiva scomparsa della pandemia, bensì il suo apparire in forme nuove, ancora capaci di mettere in crisi la necessaria ripresa economica e sociale, quella educativa anzitutto. Se qualche mese fa potevamo sperare di uscire dalla pandemia, ora tutto lascia intravvedere che con essa dovremo continuare a convivere. Dovremo farlo però in modo tale da non ostacolare il recupero delle essenziali forme della vita sociale e il rilancio dell’economia. Ciò vale anche per la vita pastorale. Occorre riprenderla, senza modalità che potrebbero mettere in pericolo i fedeli e farci ripiombare verso limitazioni che non vorremmo più sperimentare». Riprenderà il catechismo? «Ho dato al clero indicazioni circa la sua ripresa, come anche per i sacramenti, all’interno delle normative dettate dalle autorità dello Stato. Naturalmente una cosa è una grande parrocchia in città, un altro operare in una piccola parrocchia di un paese. Servirà responsabilità e noi accompagneremo e supporteremo i parroci ma occorre riprendere il catechismo, unendo attività in presenza e modalità di comunicazione a distanza, sempre con l’obiettivo di non lasciare nessuno ai margini. E la ripresa appunto non più rinviabile della catechesi dei piccoli va estesa anche alle attività formative per adolescenti, giovani e adulti, valorizzando le famiglie. Il criterio è sempre di agire con numeri limitati di persone, nell’osservanza delle precauzioni».
La Chiesa e il mondo delle associazioni, del volontariato, hanno avuto un ruolo importante in questi mesi.
«C’è stata un’attività continua nella vita sociale, in particolare nelle azioni caritative, in cui la nostra presenza è stata di particolare significato nell’emergenza e deve continuare a esserlo ora e nei mesi invernali. Più in generale occorre generosità e prudenza, cercando di collocare la nostra azione pastorale nel contesto di quanto si muove a livello culturale e sociale. La prudenza è il motivo per cui come comunità ecclesiastica ci dovremo ancora privare di eventi che prevedano la presenza di tante persone».
Come è accaduto anche domenica in Duomo, giornata in cui lei ha voluto che ci fosse uno spazio di riflessione e approfondimento sul nuovo Messale Romano, che introduce anche una nuova versione del «Padre Nostro» e del «Gloria».
«L’obbligatorietà dell’uso del Messale è fissata con la Pasqua 2021, anche se la possibilità di usarlo — quindi anche di proclamare la versione del Padre Nostro come tradotta correttamente, dopo un lungo lavoro iniziato quando ero ancora segretario della Conferenza Episcopale Italiana e durato 18 anni — è offerta fin da quando sarà nelle librerie, e invito però tutti i religiosi e la comunità a cominciare insieme. Potrebbe essere nella prima domenica di Avvento, il 29 novembre. Deciderò anche dopo essermi confrontato con gli altri vescovi della Toscana. La profonda revisione del Messale non è certo “estetica”, ma è l’esito dell’impegno della Chiesa a esprimere oggi al meglio i contenuti della fede e a collocarli nel contesto dei modi con cui si esprime la nostra lingua. È un’occasione importante per riaccostarci con il cuore e con la mente a Dio e alla sua Parola».
Eminenza, per concludere, che messaggio vuole dare ai fiorentini?
«Come vescovo e pastore seguo con partecipazione tutte le difficoltà che Firenze sta soffrendo, sono preoccupato dell’emergenza economico-sociale che sta vivendo e che continueremo a dover affrontare nei prossimi mesi. Grazie alla presenza delle parrocchie sul territorio, da ogni quartiere, dalle periferie al centro, sono costantemente informato delle situazioni, e come Chiesa siamo impegnati a portare il nostro contributo per cercare di venire incontro alle richieste e alle diverse necessità, con un intervento diretto o collaborando con le istituzioni e le diverse realtà sociali. Il mio invito per i fiorentini è quello di non perdere la speranza, di non cedere allo smarrimento e alla paura seppur comprensibili, di affrontare con fiducia, intelligenza e solidarietà il futuro, coscienti del fatto che siamo una comunità e che nessuno deve essere lasciato indietro. Il mio appello è al senso di responsabilità di tutti in questo momento così difficile, che riguarda ognuno di noi. Il Signore illumini la mente di chi è chiamato a prendere decisioni utili per la città, apra il cuore di tutti alla speranza e alla carità, perché siamo attenti alle richieste di aiuto soprattutto delle persone più fragili».
❞ Il mio appello è al senso di responsabilità di tutti in questo momento così difficile Firenze non deve perdere la speranza ma deve guardare con intelligenza e fiducia al futuro