«Io, lungo la curva del ’900»
Nella Città del Diario Paolo Schiavocampo, finalista del Premio Pieve Saverio Tutino, si racconta «La mia arte è passata dal realismo all’informale e mi sono attirato anche gli strali dei comunisti»
Epoi, per caso, un cameo. Tra tante storie di vita si inciampa su quella di un protagonista dell’arte del Novecento italiano, lui stesso coacervo di contraddizioni stilistiche in un Paese attraversato allora da un dibattito che, dal figurativo all’astratto, incrocia i blocchi politici dell’Italia e del mondo: comunisti e democristiani, nel nostro caso, a contendersi la considerazione dei critici.
Paolo Schiavocampo è uno degli 8 finalisti del Premio Pieve Saverio Tutino che si svolge da oggi al 20 a Pieve Santo Stefano in provincia di Arezzo: un luogo magico che conserva autobiografie di migliaia di italiani, sconosciuti o noti, poco importa se è vero che «La Storia siamo noi». Dalla sua Schiavocampo ha che lui la Storia l’ha attraversata con consapevolezza: artista plastico, capace di passare dal neorealismo all’espressionismo astratto e all’informale, per poi focalizzarsi sull’arte ambientale — si racconta nell’autobiografia Alle spalle del tempo intessuta da ricordi che passano da Palermo, Milano, Varese, Torino, Roma, New York. E ci insegna qualcosa di lui e di noi. Oggi, che ha 96 anni, l’udito non lo aiuta, ma la testa va velocissima e la sua memoria è portentosa, trascorre molti mesi l’anno a Rapolano: «Un luogo — ci racconta — dove ho investito agli inizi degli anni ’80 fondando una scuola di scultura per scalpellini per la lavorazione del travertino, materia prima locale che qui la gente sa manipolare con grande maestria. La mia idea era quella di dare vita a una vera bottega che avviasse al lavoro i giovani. E dove si poteva fare se non in Toscana, così adusa a riconoscere il bello da avere un’inclinazione speciale nella sua riproduzione?». Proprio qui a Rapolano, dove ha firmato una delle sculture del Parco dell’Acqua, fino al 30 gennaio allo Spazio Yurta (Via dei Manufatti n.1 loc. Sentino - Rapolano Terme, Siena), su appuntamento, è possibile visitare una mostra dove accanto alle sue opere sono esposti pezzi di Emanuele Giannetti, Gianni Lillo, Giuseppe Spagnulo, Wang Yu (prenotazioni scrivendo a yurta.r.c@outlook.it o telefonando ai numeri 3401665528/348-6508010). Ma adesso è tutta la sua vicenda artistica a riempire le pagine del diario in concorso. «Sono nato a Palermo — ci racconta lui — ma, da figlio di un militare di carriera, ho iniziato a viaggiare sin da bambino. Il legame con la Sicilia però è per me ancora fortissimo (tra le sue opere di arte ambientale per l’isola ci sono La doppia spirale realizzata per Gibellina quando, dopo il terremoto del Belìce, l’allora sindaco Ludovico Corrao fece rinascere il paese all’insegna della grande arte, e La Grande Curva alle Spalle del tempo, realizzata per la Fiumara d’arte di un altro visionario, Antonio Presti, che in provincia di Messina ha realizzato il sogno della Politica della Bellezza ndr.) Poi però è ben oltre la Sicilia che ha lavorato: ha firmato il parco artistico di Hattingen in Germania, ha stretto un sodalizio con la galleria d’arte Stelzner e Rading di Dusseldorf, è entrato a far parte della
❞ Negli anni ‘80 ho scelto Rapolano per aprire una scuola di scalpellini per lavorare il travertino Dove se non in Toscana potevo investire sul bello?
collezione del Mart di Rovereto. «Quello che ho visto nel mio perenne girovagare — ricorda — è stato il grande scontro planetario tra il mondo capitalista e quello comunista che si è scatenato in Italia, terra di confine tra i due, cosa che tutti sanno, anche se non tutti sanno che saranno entrambi sconfitti prima l’uno, poi l’altro». Lui in quello scontro c’è dentro fino al collo. In quegli anni, dal ’48 in poi, lui è a Milano: «dove uno dei miei migliori amici era Ugo Mulas, un grande fotografo morto troppo presto». È qui che una notte, come scrive nel suo diari incontra al «bar Gambrinus, in piazza Duomo, Piero Manzoni, che conoscevo già. Parlammo fino alle 4... Lui allineava i bicchieri vuoti sul bancone come cadaveri e mi chiedeva continuamente come si faceva a sfondare».
È anche grazie a questo incontro che l’artista si svincolerà dal realismo tanto caro a una certa sinistra e inizierà una nuova carriera artistica fondata sul linguaggio informale, attirandosi gli strali dei comunisti. «L’Italia — ricorda — si apriva per la prima volta a un dibattito più ampio cui non era abituata. Fino ad allora il fascismo e la guerra ci avevano costretti a muoverci dentro orizzonti culturali provinciali censurando istanze straniere. Su questa direttiva prosegue fino agli anni ’60 quando arriva una nuova svolta: va a New York al seguito dell’amico Salvatore Scarpitta e qui inizia la sua sperimentazione sulle carrozzerie di auto studiando gli elementi di aerodinamica. «Fu una folgorazione, che mi consentì di inaugurare una nuova fase della mia creazione. Io che avevo cominciato ancora ragazzo con una piccola mostra di ritratti». Schiavocampo sperimenta con tutto: vetro-resina, metalli, pietra, ceramica, e il travertino, appunto. Per la cui lavorazione elegge a suo buen retiro, almeno per metà anno, la Toscana di Rapolano.
Sono stato protagonista dello scontro planetario tra il mondo capitalista e il Pci in Italia, ma non tutti sanno che sono stati sconfitti prima l’uno, poi l’altro