Addio a Marco, ucciso dal virus sette mesi dopo il contagio
Negativo ad aprile, poi le complicazioni
È morto sette mesi dopo. Quarantadue settimane di farmaci, di ospedali e operazioni. Un calvario che per Marco Bonini — rappresentante del gruppo Volkswagen, 61 anni, residente a Capannori e primo paziente lucchese a essere infettato dal virus — è iniziato lo scorso 2 marzo quando gli hanno diagnosticato il Covid. «Mio babbo era una brava persona, un uomo intellettualmente onesto, un toscano vero», dice la figlia Erika che martedì scorso è andata a trovarlo. «Era in rianimazione, non poteva sentirmi, ma mi ha sentito. Gli ho detto che voglio essere figlia sua, che doveva reggere», spiega la donna.
Oggi pomeriggio alle 15 la salma sarà benedetta nel piazzale davanti alla chiesa di Tampagnano. «Ci saranno molte persone. Babbo era una persona conosciuta in paese. Lavorava da 30 anni nel solito gruppo, faceva trasferte al Nord ed era un endurista: erano in tanti a volergli bene», spiega Erika. La prima volta che si è sentito male era fine febbraio: febbre e tosse. Il medico curante gli consiglia di fare una lastra ai polmoni. Il giorno dopo — in un istituto privato — ha la risposta: principio di polmonite. Nel frattempo il 29 febbraio scorso «mio marito viene ricoverato a Piacenza dove scoprono il coronavirus — spiega Erika — e babbo che non ha ancora il tampone, decide di andare all’ospedale a Lucca». A quel punto Bonini si sottopone al tampone e il 2 marzo arriva la conferma.
Il 4 marzo entra in ospedale e tre giorni dopo passa al reparto di rianimazione: «Ci dicono che la situazione è gravissima». Di quei giorni e di quelle ore Erika dice che «tutto il personale di rianimazione di Lucca ci ha aiutato. Ci è stato vicino così come il sindaco di Capannori Luca Menesini, che ci ha aiutato durante la quarantena. L’amministrazione ci è stata vicina, anche praticamente».
Ed è vero: fino a quando Marco Bonini è stato a casa, il sindaco lo chiamava per sapere come stava. Se il quadro clinico dell’endurista sembrava peggiorare, il reparto di rianimazione fa il miracolo: il 24
In rianimazione «Gli ho detto che volevo essere figlia sua, che doveva reggere. Mi ha sentito, ha lottato»
aprile Marco Bonini esce dall’ospedale e viene trasportato a Viareggio per la riabilitazione.
Risulta essere negativizzato ma le conseguenze del virus si fanno sentire. In Versilia la sua situazione però si complica: problemi con le fistole. A giugno «babbo viene operato da un medico di Livorno a Viareggio: l’intervento va bene ma sopraggiunge un’infezione», rammenta la figlia Erika. Marco Bonini torna nuovamente in rianimazione a Lucca: siamo a fine giugno. «I medici lucchesi decidono di parlare con i colleghi di Pisa: deve fare un’operazione alla trachea. Ma deve essere stabilizzato».
A fine agosto viene trasportato a Pisa dove viene operato, dove finisce sotto i ferri lo scorso 7 settembre. La situazione precipita, gli danno 4 ore di vita. Muore invece giovedì scorso. «Babbo non è morto di Covid ma quel virus, dal quale era poi uscito, gli ha portato delle conseguenze che sono state letali», spiega ancora Erika. «Devo reggere a questa tragedia: l’ho promesso a babbo», dice ancora la figlia che in queste ore sta ricevendo telefonate dai medici che l’hanno curato.