Luce sulla Cappella dei Principi
Dopo 20 anni finiti i restauri. Un nuovo impianto di illuminazione
Non era mai stata così illuminata. Mai così «colorata». E nemmeno così pulita. Sono 21 anni che tra un restauro e l’altro la Cappella dei Principi nel Museo delle Cappelle Medicee era un perenne cantiere. Da quando, il 4 novembre del 1999, una lastra di marmo di 40 chili si staccò da 20 metri di altezza dopo 4 secoli di usura del tempo. Stasera alle 19.30, per celebrare la Giornata europea del Patrimonio e al tempo stesso la conclusione dei lavori, un complesso gioco di luci mostrerà per la prima volta l’intera ampiezza di 60 metri per 30 della cappella medicea nella sua bellezza originale. Grazie al lavoro del restauratore Franco Vestri e dell’architetto Maria Cristina Valenti, che hanno riportato a vivere tre vele e rimontato la volta a botte con i suoi 87 marmi e 27 «grigi». E al nuovo impianto di luci realizzato dalla ditta Erco.
Si è trattato di «un restauro complesso e innovativo, già oggetto di pubblicazioni scientifiche — ricorda la direttrice dei musei del Bargello, di cui le Cappelle Medicee fanno parte, Paola D’Agostino — e concluso grazie a un finanziamento speciale di 700 mila euro dal governo nel 2016». E con i proventi dei biglietti «abbiamo avviato un’operazione di spolveratura che finalmente ha fatto tornare a splendere il bronzo dorato e i marmi colorati, e una nuova illuminazione con gradazione cromatica molto particolare capace di far risplendere la magnificenza dei Medici». Per D’Agostino questo può essere «il primo raggio di luce sulla strada per uscire da questo periodo buio» in riferimento alle difficoltà patite anche dai musei a causa della pandemia. La cerimonia di fine lavori si è conclusa con la benedizione del cardinale Giuseppe Betori. Ci sono voluti più di 20 anni perché la caduta della lastra di marmo mise in luce un problema strutturale pericoloso che riguardava tutti gli archi e le calotte della cappella: un’anomalia nello «sforzo di compressione» delle strutture, reso ancora più delicato dalla particolare forma rettangolare e non trapezoidale dei conci in chiave della volta. Hanno dovuto smontare tutti i pannelli in pietra delle vele delle calotte, montare un reticolo in acciaio lungo tutta la curvatura, consolidare, restaurare i pannelli in pietra serena di 12 cm di spessore e di oltre 100 chili ciascuno, e per riuscirci si sono serviti di un «ragno», una macchina cingolata capace di arrivare a operare dove la mano dell’uomo avrebbe avuto più difficoltà.