«Attenti alle famiglie, sono i focolai principali Ma nessun allarme»
«I numeri ci devono far stare con le antenne dritte, ma non siamo in una situazione di allarme. Molto dipenderà da come il sistema sanitario, dal territorio agli ospedali, saprà organizzarsi». Il professor Francesco Menichetti, direttore del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale universitario di Pisa, racconta i prossimi mesi come una sfida complessa, ma una sfida che, a differenza della scorsa primavera, ora è possibile riuscire a gestire.
Professor Menichetti, qual è la situazione dei pazienti Covid a Pisa?
«Abbiamo una ventina di ricoverati. Non sono molti, ma dal punto di vista logistico non è una situazione semplice: sia perché gran parte dell’ospedale non è più Covid, sia perché abbiamo i pazienti col coronavirus divisi tra il Cisanello e il Santa Chiara».
Non è comunque meglio avere pochi pazienti che un ospedale tutto Covid?
«Non c’è dubbio, ma la sfida sta nella capacità di organizzare le strategie rispetto al contesto. Mi riferisco agli ospedali, a partire dalla necessità di armonizzare il lavoro tra l’Asl territoriale e l’Azienda ospedaliero universitaria, che troppo spesso ragionano come realtà separate. Serve per questo una regia da parte della Regione. E mi riferisco al territorio, ovvero alla necessità dei tamponi rapidi».
La Regione li ha ordinati e stanno arrivando, insieme alle macchine che serviranno per processarli.
«Servono tamponi salivari rapidi. In Toscana invece sono stati scelti quelli naso-faringei che hanno comunque bisogno di essere analizzati in laboratorio. Si perdono ore. E mentre da noi il modello salivare non è considerato affidabile, in Lazio e in Veneto hanno deciso di adottarli. Credo che, di fronte ai grandi numeri, quelle Regioni abbiano fatto la scelta giusta».
Perché è così importante usare un tampone rapidissimo, anche se il risultato è meno affidabile?
«Per capirlo bisogna guardare ai numeri dell’epidemia. A primavera siamo stati solo sfiorati dallo tsunami lombardo, ora invece il contagio non si impenna, ma è molto più spalmato sul territorio. Con la riapertura delle scuole, se emerge un positivo si mettono in quarantena tutti i compagni, ma per avere il risultato del tampone servono giorni. Se uno degli studenti in isolamento è positivo, magari ha già contagiato i famigliari che, non essendo a loro volta in quarantena, hanno portato il virus in giro per giorni».
Quindi è il rapporto scuola-famiglia la priorità da affrontare?
«Esatto, a seguito della riapertura delle scuole, la famiglia diventa il principale amplificatore del contagio».
È preoccupato?
«Non lo sono, per ora. I numeri ospedalieri al momento sono bassi. In Italia ci sono trecento ricoverati in terapia intensiva a fronte di circa quattromila posti a disposizione. Abbiamo ampio margine, ma non dobbiamo disperdere il vantaggio che abbiamo rispetto a Spagna, Francia e Regno Unito. Dobbiamo evitare di trovarci nella loro situazione».
Sul fronte delle cure, quali risultati hanno i nuovi cocktail di farmaci?
«Non c’è ancora l’ordinanza per uniformare le terapie in tutti gli ospedali, complice il passaggio di consegne della giunta regionale dopo le elezioni. È chiaro che una cura non c’è, ma il nostro cocktail non sta dando risultati pessimi. Del resto quello che adottiamo a Pisa non è molto diverso da quello che al Walter Reed stanno somministrando al presidente degli Stati Uniti Donald Trump».
❞ Visti i numeri servono tamponi salivari rapidi, in Toscana invece sono stati scelti quelli per cui servono comunque ore...