«Il mercato si è spaccato in due, salvando solo i vini alti o bassi»
Tipa, Vignaiolo dell’anno per il «Corriere»: se a primavera non si riparte...
L’incertezza della pandemia continua a bussare alle porte del mondo del vino. I recenti dati sulla diffusione del contagio pongono ancora punti interrogativi sulla ripresa di mercati importanti come gli Stati Uniti. Ma nonostante tutto si resiste e si prova a sorridere. Come fa Claudio Tipa, vincitore del titolo Vignaiolo dell’anno 2020 per la guida del Corriere della Sera di Luciano Ferraro e Luca Gardini. «Ogni vignaiolo — si racconta — vorrebbe essere premiato, anche solo con una pacca sulle spalle... Essere considerato tra i migliori fa bene, essere il primo poi, in un momento in cui il mercato si fa sempre più competitivo, facilita il lavoro». Il gruppo Collemassari di Tipa comprende, oltre al Montecucco, dove c’è la sede principale dell’azienda, Bolgheri con la cantina storica di Grattamacco e Montalcino con ben 46 ettari (una della cantine più estese) tra San Giorgio e Poggio di Sotto. «Il mio arrivo nel mondo del vino non si può certo considerare prematuro (ride, ndr), avevo 52 anni. Però mi sono prefissato degli obiettivi precisi e lotto ogni giorno per raggiungerli. Il premio mi rafforza psicologicamente e aiuta il mercato, in un momento molto difficile». Il mercato è difficile soprattutto per quelle denominazioni che esportavano molto. «Auspichiamo che per la primavera inoltrata la situazione rientri — continua — altrimenti le preoccupazioni diventeranno grandi. Tra le nostre aziende Collemassari è quella che ha sofferto un po’ di più, per il posizionamento intermedio e la produzione importante: doveva esserci la grande crescita, abbiamo registrato una brusca frenata».
«Durante il lockdown si è continuato a bere a casa — spiega Tipa — Si sono salvate le fasce più alte e quelle più basse, perché i consumatori si sono divisi in due categorie: chi ha acquistato il vino al supermercato e lo ha fatto online, che sono soprattutto appassionati e conoscitori che sapevano dove andare. Certo non uscivano per recarsi nella migliore enoteca della città o al ristorante». Il consumo al ristorante è un altro nodo importante. «I ristoranti sono luoghi di vocazione per la vendita del vino. Ci si incontra e il vino si condivide con amici e buon cibo. Ci sono zone che hanno segnato una grossa contrazione, è innegabile». E poi le fiere, cancellate. «L’assaggio col cliente o potenziale cliente era fondamentale. I risultati erano tangibili nell’immediato. Forse ci stiamo orientando verso un nuovo mercato veicolato dalla multimedialità, ma il contatto umano resta necessario: il vecchio modo di vendere aveva il suo fascino. Nonostante tutto il vino resiste con noi, ma il tempo non è infinito. Aspettiamo la fine, diciamo».