Prato choc
L’imprenditore cinese che parlava col sindaco e sfruttava i minori
Un notabile della comunità cinese, accreditato presso le istituzioni, è al centro dell’inchiesta della Procura di Prato che ha svelato tutto il campionario di crimini dello sfruttamento del lavoro: dal reclutamento all’annullamento della dignità, passando per l’evasione fiscale e le condizioni igieniche precarie.
She Jinquan, 45 anni, detto «Alessandro», è l’imprenditore al centro dell’azione criminale per cui il Gip ha disposto cinque ordinanze di custodia cautelare eseguite all’alba di ieri. «Alessandro» è una sorta di dominus, oltre che uno dei principali esponenti dell’Associazione della comunità del Fujian, una delle più importanti nell’enclave cinese di Prato. «Questo ci preoccupa particolarmente, perché se da una parte queste persone sono destinate a interloquire con le istituzioni, dall’altra sono le stesse persone che praticano una modalità di fare impresa in maniera illecita».
L’associazione in questione, 4 anni fa, è stata ricevuta in Comune dal sindaco Matteo Biffoni — che è stato fra i primi a ringraziare la procura per le indagini — per una donazione (in occasione del terremoto) ed è certamente fra quelle su cui il Consolato cinese ripone la propria fiducia. «Non abbiamo più rapporti con il Consolato da mesi», spiega il procuratore Nicolosi, che negli scorsi anni aveva tentato di collaborare con la massima istituzione orientale sul territorio.
L’indagine ha coinvolto l’intera famiglia cinese di She «Alessandro», accusata di sfruttamento della manodopera e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Risultano anche una minorenne, una donna incinta e un uomo malato tra i 45 operai — 30 cinesi e 15 bengalesi — sfruttati nelle due sedi della ditta. I lavoratori sarebbero stati sottoposti a turni di lavoro non inferiori a 15 ore in situazione di sicurezza precarie e condizioni alloggiative degradanti, senza riposi o ferie e per una retribuzione mensile variabile tra i 400 e i 500 euro.
Agli arresti in carcere, oltre che She Jinquan, sono finiti il figlio She Menjnan detto «Massimo», di 24, e Zhuang Xing, di 30, ritenuto un prestanome; arresti domiciliari, invece, per il cognato di «Alessandro», Yue Bingqi, di 46 anni. La Finanza ha messo nel mirino la casa acquistata dalla famiglia She e 15 mila euro in contanti trovati durante le perquisizioni. Dalle carte emerge l’intreccio di ditte aperte e chiuse nel giro di pochi mesi dagli indagati — almeno 17 tra il 2014 e oggi — con l’utilizzo di prestanome e con le deleghe dei familiari She a eseguire prelievi e versamenti sui loro conti bancari.
L’inchiesta è nata da un controllo degli ispettori dell’Asl nell’ambito del progetto regionale «Lavoro sicuro», tema su cui il procuratore Nicolosi ha fatto un appello: «Spero che questo strumento venga rinnovato. Lo dico perché so che si tratta di un progetto prossimo alla scadenza ma importantissimo per il nostro territorio. Le indagini di polizia giudiziaria e i processi possono colpire singoli casi, ma qui ci troviamo in presenza di un modo sistematico di fare impresa in maniera criminale».
Rapporti L’associazione dell’uomo era stata ricevuta in Comune e ha legami con il Consolato di Pechino L’inchiesta nata da un controllo Asl