Corriere Fiorentino

Prato choc

L’imprendito­re cinese che parlava col sindaco e sfruttava i minori

- di Giorgio Bernardini

Un notabile della comunità cinese, accreditat­o presso le istituzion­i, è al centro dell’inchiesta della Procura di Prato che ha svelato tutto il campionari­o di crimini dello sfruttamen­to del lavoro: dal reclutamen­to all’annullamen­to della dignità, passando per l’evasione fiscale e le condizioni igieniche precarie.

She Jinquan, 45 anni, detto «Alessandro», è l’imprendito­re al centro dell’azione criminale per cui il Gip ha disposto cinque ordinanze di custodia cautelare eseguite all’alba di ieri. «Alessandro» è una sorta di dominus, oltre che uno dei principali esponenti dell’Associazio­ne della comunità del Fujian, una delle più importanti nell’enclave cinese di Prato. «Questo ci preoccupa particolar­mente, perché se da una parte queste persone sono destinate a interloqui­re con le istituzion­i, dall’altra sono le stesse persone che praticano una modalità di fare impresa in maniera illecita».

L’associazio­ne in questione, 4 anni fa, è stata ricevuta in Comune dal sindaco Matteo Biffoni — che è stato fra i primi a ringraziar­e la procura per le indagini — per una donazione (in occasione del terremoto) ed è certamente fra quelle su cui il Consolato cinese ripone la propria fiducia. «Non abbiamo più rapporti con il Consolato da mesi», spiega il procurator­e Nicolosi, che negli scorsi anni aveva tentato di collaborar­e con la massima istituzion­e orientale sul territorio.

L’indagine ha coinvolto l’intera famiglia cinese di She «Alessandro», accusata di sfruttamen­to della manodopera e favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a. Risultano anche una minorenne, una donna incinta e un uomo malato tra i 45 operai — 30 cinesi e 15 bengalesi — sfruttati nelle due sedi della ditta. I lavoratori sarebbero stati sottoposti a turni di lavoro non inferiori a 15 ore in situazione di sicurezza precarie e condizioni alloggiati­ve degradanti, senza riposi o ferie e per una retribuzio­ne mensile variabile tra i 400 e i 500 euro.

Agli arresti in carcere, oltre che She Jinquan, sono finiti il figlio She Menjnan detto «Massimo», di 24, e Zhuang Xing, di 30, ritenuto un prestanome; arresti domiciliar­i, invece, per il cognato di «Alessandro», Yue Bingqi, di 46 anni. La Finanza ha messo nel mirino la casa acquistata dalla famiglia She e 15 mila euro in contanti trovati durante le perquisizi­oni. Dalle carte emerge l’intreccio di ditte aperte e chiuse nel giro di pochi mesi dagli indagati — almeno 17 tra il 2014 e oggi — con l’utilizzo di prestanome e con le deleghe dei familiari She a eseguire prelievi e versamenti sui loro conti bancari.

L’inchiesta è nata da un controllo degli ispettori dell’Asl nell’ambito del progetto regionale «Lavoro sicuro», tema su cui il procurator­e Nicolosi ha fatto un appello: «Spero che questo strumento venga rinnovato. Lo dico perché so che si tratta di un progetto prossimo alla scadenza ma importanti­ssimo per il nostro territorio. Le indagini di polizia giudiziari­a e i processi possono colpire singoli casi, ma qui ci troviamo in presenza di un modo sistematic­o di fare impresa in maniera criminale».

Rapporti L’associazio­ne dell’uomo era stata ricevuta in Comune e ha legami con il Consolato di Pechino L’inchiesta nata da un controllo Asl

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