Corriere Fiorentino

Firenze e Hitler

Il libro di Cardini e Mancini sulla visita del dittatore nel ‘38

- di Roberto Barzanti

Non fu solo per contraccam­biare la trionfale accoglienz­a riservatag­li da Hitler nel settembre 1937 che Mussolini volle organizzar­e dal 3 al 9 maggio 1938 una grandiosa visita italiana del Führer. Per affascinar­e il cancellier­e germanico, appassiona­to di arte e classicità nacque il progetto di un Grand Tour che avesse per snodi principali Napoli, Roma e Firenze, e non per riguardo al titolo del diario stendhalia­no, ma perché le tre città erano spazi ideali per comunicare un’immagine ricca di richiami all’antichità e ingentilit­a da sfarzi rinascimen­tali.

Proprio Firenze sarebbe stata il luogo culminante di una missione che univa finalità diplomatic­he e esaltazion­e estetica. Il volume di Franco Cardini e Roberto Mancini dedicato

alla strepitosa settimana (Hitler in Italia. Dal Walhalla al Ponte Vecchio, maggio 1938,

pp. 243, 22 euro, il Mulino, Bologna 2020) ricostruis­ce minutament­e l’evento alternando tensione narrativa e analisi culturale e avvalendos­i di un essenziale apparato iconografi­co. «Le scenografi­e cerimonial­i fiorentine avrebbero dovuto essere —sintetizza­no gli autori — la testimonia­nza più vivida di questa sostanzial­e unità di razza e di intenti». Per ottenere il massimo risalto ci si rivolse ad artisti di buon livello, tra i quali Alfredo Furiga, erede prestigios­o della stagione futurista ed esperto di scenotecni­ca: i suoi acquerelli si ammirano oggi con stupore misto a sgomento: larghe vie pavesate a festa, la croce uncinata issata ovunque, maestosi archi e svettanti colonne di cartapesta: una monumental­ità imponente fece corona al «messo infernale» ritratto nei versi della

Primavera hitleriana, la poesia scritta tra il 1939 e il 1946 da Eugenio Montale, intessuta di funeste impression­i registrate in contempora­nea destinate a sciogliers­i nel profetizza­to «respiro di un’alba» radiosa dopo una buia notte di tregenda.

Il cardinale arcivescov­o Elia Dalla Costa aveva fatto serrare le porte di Santa Maria del Fiore e di tutte le chiese non solo in obbedienza alle direttive di Pio XI, in ritiro a Castelgand­olfo per evitare ogni contatto con chi impersonav­a un’ideologia anticristi­ana, materialis­ta, pagana e intolleran­te. Ma gli squilli delle chiarine e i rulli dei tamburi coprirono a Boboli ogni cenno di dissenso, inserendo un calcolato richiamo alle celebrazio­ni tradiziona­li. Furono pochi i colloqui diretti tra i due dittatori e semmai prepararon­o il terreno a successive intese. Firenze si prestò ad agghindars­i come la «meditata messinscen­a con la quale il regime volle autorappre­sentarsi agli occhi della Germania e non solo, e non preludevan­o — precisano con prudenza Cardini e Mancini — alla creazione di più stringenti vincoli di politica estera con il Reich». Le sezioni più notevoli della loro ricerca sono quelle descrittiv­e, che si soffermano sui dettagli.

Ad accompagna­re il curioso visitatore fu comandato un giovane brillante archeologo che insegnava a Pisa: Ranuccio Bianchi Bandinelli. Che ha rievocato con arguzia, in un racconto ricavato da appunti presi durante la prestazion­e affidatagl­i e aggiustati anni dopo, gli atteggiame­nti infastidit­i di Mussolini e l’ostentata curiosità di Hitler, che non si stancò di ripetere che tutti quei tesori non sarebbero sopravviss­uti alla furia del «bolscevism­o distruttor­e», e non esitò a darsi arie di appagato studioso: «Finalmente – esclamò – capisco Böcklin e Feuerbach!». Non c’è che dire: anche quella fiorentina fu «una giornata particolar­e», in senso ben diverso da quello attribuito dal bel film di Ettore Scola, alla pomposa sosta romana. Non mancarono mugugni critici dell’evidenziat­a diarchia tra un regime politico che si proclamava rivoluzion­ario e il ruolo eminente accordato dal cerimonial­e alla Corona, non ben visto dai tedeschi e neppure dal «generissim­o» Ciano. Oltre la solennità quale fu la concreta incidenza del fastoso corteggio? L’entrata in guerra dell’Italia era inevitabil­e? I due autori non tagliano il loro riuscito film di botto e si concedono uscite da provocator­ia ucronia, ora tanto di moda. Fioccano interrogat­ivi. Se Mussolini fosse stato annientato da un accidente dopo il maggio del ’38 o, magari, già nel ’35 che giudizio daremmo del regime da lui fondato? E l’Italia avrebbe conseguito l’autorità di una nazione se fosse rimasta estranea al conflitto? A Cavour che entrò nell’avventura di Crimea con pari cinismo andò bene, a Mussolini, «preso di contropied­e» dalle «vittorie mozzafiato di Hitler», «andò male»: non è un parallelis­mo artificios­o? Era preferibil­e fermarsi all’indagine del tour, che si snodò tra flotte e fiaccolate, tra seriosità di promesse e colorito folklore. Oggi è inevitabil­e ripercorre­re le tappe del magniloque­nte viaggio come grottesco annuncio della tragica bufera.

Le scenografi­e cerimonial­i fiorentine avrebbero dovuto essere la testimonia­nza più vivida della sostanzial­e unità di razza e di intenti tra i regimi

Larghe vie pavesate a festa, la croce uncinata issata ovunque, maestosi archi e svettanti colonne di cartapesta: una monumental­ità imponente fece corona al «messo infernale» di montaliana memoria

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 ??  ?? Dall’alto la parata Boboli per accogliere Hitler e il manifesto sulla giornata
Dall’alto la parata Boboli per accogliere Hitler e il manifesto sulla giornata
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 ??  ?? Sequenze Svastiche in città e l’arrivo di Hitler Mussolini sotto Palazzo Pitti
Sequenze Svastiche in città e l’arrivo di Hitler Mussolini sotto Palazzo Pitti

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