Corriere Fiorentino

Dal gol a Rimini al furgone La nuova vita di Bismark

Protagonis­ta della Florentia nell’anno della C2, oggi l’ex calciatore ghanese fa il fattorino a Siena ed è pastore della Christ Revealed Ministry

- di Lorenzo Sarra

Fa un freddo cane. Una di quelle notti da guanti di lana e odore pungente di olio di canfora negli spogliatoi. Le tribune dello stadio «Neri» sono stracolme: 5 mila romagnoli, 3 mila tifosi viola in trasferta. I tempi della lotta scudetto, di Wembley, dei gol di Batistuta sembrano già lontani un secolo. La Fiorentina si gioca il primo posto del suo girone di C2. Ospiti in vantaggio, ma il Rimini attacca. Poi, a una manciata di minuti dal triplice fischio, Riganò lancia in contropied­e un giovane mingherlin­o, con addosso la maglia numero 14.

Lui addomestic­a la palla con una magia, la sposta per dribblare il terzino, fa partire una saetta. Palla al sette. È la rete della sicurezza. Il ragazzo si gira incredulo. Braccia al cielo. Segno della croce. Respiro lungo che si condensa in nuvole di vapore. Appena qualche secondo ed è sommerso dai compagni. Era il 24 febbraio 2003. «Mi riconoscon­o ancora in tanti, quando faccio le consegne. Spesso non ci credono che sia davvero io...», Bismark Ekye detto Bibi — poggibonse­nse d’azione, visto che nella cittadina toscana risiede da dodici anni — si alza tutte le mattine alle 5 per andare a Siena, dove da quasi un decennio è dipendente come fattorino per i ristoranti. Una vita a bordo di un furgone, intervalla­ta dalle domeniche gospel alla Christ Revealed Ministry («Sono il pastore della chiesa») e dal «secondo lavoro a tempo pieno» di genitore («Ho quattro figli: tre femmine e un maschietto, la più grande ha 11 anni»). Eppure, una volta, questo 39enne cresciuto a Nkawkaw, nel sud del Ghana, era una gazzella imprendibi­le sulla fascia sinistra, un talento in grado di conquistar­e un pubblico esigente come quello fiorentino.

Nato da madre professore­ssa d’inglese e da padre insegnante di agricoltur­a («Papà purtroppo è morto sei anni fa. Cerco di andare il più spesso possibile a trovare mia mamma»), Bismark avrebbe davanti a sé un futuro dedicato allo studio. Ma dopo la scuola secondaria, ci si mette di mezzo il pallone: «A 18 anni venni in Italia la prima volta per partecipar­e al torneo di Viareggio con la squadra della mia città, l’Okwawu United. Giocai molto bene e fui messo sotto contratto dalla Pistoiese e un anno dopo dall’Aglianese». Nella squadra neroverde, a centrocamp­o, gioca un certo Max Allegri: «Era a fine carriera, ma ancora fortissimo. Fu grazie a lui che segnai diversi gol in soli sei mesi di C2. Mi diceva sempre che dovevo divertirmi: facevamo calcio champagne».

E infatti anche i dirigenti della rinata Florentia Viola — specialmen­te dopo che Bibi segna ad Ivan un bel gol di testa in campionato — si accorgono di lui e lo ingaggiano per rinforzare la squadra a gennaio: «Firenze mi ha cambiato la vita», racconta. Ma più per l’affetto dei tifosi, che per il lusso: «Ad Agliana vivevo in una casa con altri compagni, ma anche a Firenze dividevo un appartamen­to normalissi­mo, vicino allo stadio di atletica, insieme allo svedese Runström. I fiorentini però erano un’altra cosa...». Bismark rievoca quei mesi da «divo»: «Il tiro di mancino dalla distanza era la mia specialità: dopo l’eurogol contro il Rimini, in città, mi fermavano in continuazi­one. Fu una stagione fantastica. In attacco c’era Riganò che mi diceva: tu quando vai sul fondo chiudi gli occhi e crossa, io ci sono sempre...». Dopo quell’annata — e la successiva in serie B post ripescaggi­o — Bismark è un vero calciatore profession­ista, convocato pure dalla sua nazionale.

Gli acquisti di Fantini e Vryzas gli tolgono però spazio: comincia il girovagare. Ravenna, poi in Liechtenst­ein al Vaduz. Dove iniziano purtroppo i problemi al ginocchio («Mi sono infortunat­o due volte: prima delle olimpiadi di Atene 2004 e a poche settimane dal mondiale tedesco del 2006») e al menisco («In una partita di Coppa Uefa contro il Beveren»). Quattro operazioni, di cui una in Svizzera mal riuscita, ne compromett­ono la carriera. La discesa negli inferi dei dilettanti è inesorabil­e: «C’erano pochi soldi: dal 2010 ho deciso di smettere e mettermi a lavorare». E oggi, quando gira per le consegne, non mancano i curiosi: «I clienti di fede viola mi ricordano sempre il gol a Rimini. Con molti sono diventato amico». La pandemia non l’ha mai fermato: «Anzi, ho lavorato ancora di più, portando i piatti dei ristoranti a domicilio. L’unico problema è stato per le messe della domenica: con la comunità siamo ripartiti solo a luglio, ma sempre con un metro e mezzo di distanza tra i fedeli».

Un ultimo aneddoto: «Il nome Bismark? Me lo chiedevano in tanti pure ai tempi di Firenze: mio nonno, mentre lavorava in Africa nel settore del cacao, conobbe un tedesco che si chiamava così. Gli piacque e lo diede a mio padre, che poi l’ha passato a me».

❞ All’Aglianese ho giocato con Massimilia­no Allegri, era a fine carriera ma fu grazie a lui che segnai numerosi gol, così a gennaio mi chiamarono a Firenze. Ancora oggi i tifosi viola mi riconoscon­o

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Bismark Ekye è il primo giocatore africano comprato nella storia della Fiorentina. Nella foto in una partita contro il Bari. Chiuderà il suo primo anno in Serie C2 con cinque reti all’attivo. Rimasto in viola l’anno successivo fa il suo esordio in Serie B dove conta 11 presenze nel girone d’andata, ma lascia Firenze già nel mercato invernale per tornare in C2 a Ravenna. Poi sceglie di andare a giocare in Liechtenst­ein
Corsa Bismark Ekye è il primo giocatore africano comprato nella storia della Fiorentina. Nella foto in una partita contro il Bari. Chiuderà il suo primo anno in Serie C2 con cinque reti all’attivo. Rimasto in viola l’anno successivo fa il suo esordio in Serie B dove conta 11 presenze nel girone d’andata, ma lascia Firenze già nel mercato invernale per tornare in C2 a Ravenna. Poi sceglie di andare a giocare in Liechtenst­ein

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