Addio Donatella
In tanti ai funerali di Carmi: «La vita è più forte del dolore»
Il saluto più bello a Donatella Carmi Bartolozzi, su a San Miniato, sotto un cielo autunnale tersissimo, passa dalle parole spezzate dalle lacrime della figlia Checca, dalla canzone intonata nella Basilica dalle nipoti Bianca e Olivia, dal ricordo che le dedica, nella lunga omelia, padre Bernardo Gianni.
Donatella Carmi non era una donna qualunque, lo testimoniano la folla presente ieri al suo funerale — distanziata e divisa tra la chiesa e il sagrato ma non per questo meno numerosa — le tante frasi di commiato messe nero su bianco in un librone da chi l’ha conosciuta, i molti interventi, alla fine della Messa, prima che la sua bara venisse tumulata: quello dell’amica Chicca Lami, quella del presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze Luigi Salvadori, degli assessori
Alessia Bettini e Tommaso Sacchi per citarne alcuni. Il rito ha messo insieme chi, a vario titolo, l’ha conosciuta, amata, stimata (c’erano Piero e Francesca Antinori, Monica Barni, l’assessore alla Cultura e il sindaco di Scandicci Claudia Sereni e Sandro Fallani, Arturo Galansino e soprattutto le ragazze e i ragazzi, le donne e gli uomini del File, la Fondazione di Leniterapia da lei fondata per togliere dolore e dare conforto a chi è arrivato alla fine della sua vita). In fondo qualunque sia la ragione per cui la si sia incontrata, come donna delle istituzioni, della cultura — forte di un lungo sodalizio con il marito, Massimo Bartolozzi, antiquario — o della Firenze più in vista, la verità è che Donatella era prima di tutto l’anima del File. «Era quella donna inquieta — per usare le parole di padre Bernardo — che ha portato avanti una protesta, tutta femminile, contro il dolore che lei stessa aveva conosciuto nella forma delle perdita, in ogni sua forma».
Le era morta una figlia, Benedetta (esattamente sette anni e qualche ora prima del suo decesso), aveva da anni iniziato la sua lotta contro il tumore. Aveva conosciuto la disperazione e aveva reagito con forza — qualcuno al File la chiamava la leonessa — scegliendo sempre di combattere e fare. Scendendo nel ring della lotta contro la sofferenza. Ribelle, viva, di parte. Solo così si spiegano le parole — come ha ricordato la figlia Francesca — che era stata capace di dirle nel momento del commiato: «Quando io piangendo le ho chiesto: mamma come farò senza di te? lei mi ha risposto parlando come faceva al File, il suo terzo figlio: “la vita — mi ha detto — è più forte del dolore, amati e fatti amare, sii leggera, sorridi, cerca tuo marito, i tuoi figli, gli affetti, state insieme e ce la farai. Da soli è impossibile ma insieme si può. Anche io ce la farò nonostante mi mancherete tanto e mi dilani l’idea di dovervi lasciare». Li ha lasciati, ha lasciato la città che ieri l’ha ricordata in Consiglio comunale, ma in fondo, con le sue parole e il suo sorriso inquieto, lei è ancora qui.
❞ Era una donna inquieta che aveva conosciuto la perdita. Il File? Era il suo terzo figlio