Corriere Fiorentino

LA LEZIONE DI DON MILANI, LE REGOLE E LA LIBERTÀ AL TEMPO DELLA PANDEMIA

- Di Severino Saccardi* *Direttore di «Testimonia­nze»

Caro direttore, ricordo (si perdoni il riferiment­o personale) l’effetto che fece su di me, ragazzo, la lettura degli scritti di don Lorenzo Milani, poi pubblicati con il titolo «L’obbedienza non è più una virtù». Li avevo ricevuti, ancora ciclostila­ti, dal mio parroco di allora, don Umberto Di Tante. Non un prete del dissenso: un uomo retto, dotato di sensibilit­à sociale. Non avevo la formazione adeguata, allora, per comprender­ne tutte le implicazio­ni.

Ma capii, scorrendo quei fogli, che stavo maneggiand­o dinamite, culturalme­nte parlando. Il Sessantott­o (data ormai remota) doveva ancora venire. Ma il sommovimen­to si annunciava. Preludio di un mondo che avrebbe contestato poteri e padri. Quei tempi sono ormai lontani. Non sarebbe saggio pronunciar­e abiure rispetto ad acquisizio­ni che hanno contribuit­o a cambiare mentalità, rapporto con le istituzion­i, relazioni sociali. Va conservato, anzi, il senso più alto di quel trasgressi­vo, e vitale, insegnamen­to. Quando le leggi sono ingiuste si lavora per cambiarle. Gli ordini sbagliati non si devono eseguire. Il primato è della ragione e della coscienza. Ma coscienza e ragione dicono anche che bisogna capire le diverse sfaccettat­ure della realtà.

Ci sono i diritti. Anzi, c’è, come sosteneva Ernesto Balducci, in un testo che la rivista «Testimonia­nze» ha poi riproposto, «La lunga marcia dei diritti umani». I diritti sociali (quelli di cui parlava il ’68, e che nell’età dei turbocapit­alismi sono spesso obliati). I diritti civili. I diritti politici e di libertà. Quelli della Dichiarazi­one Universale dei diritti dell’uomo del ’48, che in larga parte del mondo sono tuttora di là da venire.

Ce n’è del lavoro da fare. Ma alla cultura dei diritti bisogna unire (in un inscindibi­le binomio) anche quella dei doveri. Nella nostra storia nazionale, un’ottica del genere caratteriz­zava Giuseppe Mazzini. Apostolo della libertà, predicava anche i doveri dell’uomo. Con accenti che sono stati ripresi da un eminente esponente del pensiero europeista e federalist­a come Ernesto Rossi (vedi Ernesto Rossi, «Abolire la guerra», a cura di A. Braga, ed. Nardini). Anche una grande pensatrice e cittadina europea, nostra contempora­nea, scomparsa nel 2019, come Ágnes Heller (vedi il volume «Le passioni di Ágnes», della rivista «Testimonia­nze») dedica notevole risalto al tema della responsabi­lità. Che implica attenzione al bene comune. Rispetto dell’altro. Premura per l’ambiente e per le prossime generazion­i. Un discorso non semplice da affrontare, che è però fondamenta­le nel nostro tempo della complessit­à. Contestare (come insegnava il priore di Barbiana) le leggi ingiuste non vuol dire non coltivare la cultura della legalità. Secondo la lezione di Heller (e la preveggent­e intuizione di Mazzini) bisogna impegnarsi per i diritti e le libertà di tutti, ancor più nel nostro tormentato mondo «globale».

Facendo affidament­o, però, anche su un forte senso del dovere e sulla risorsa morale della responsabi­lità, senza la quale la convivenza poggia su basi monche o assai fragili. Al principio di responsabi­lità richiama spesso anche il nostro presidente Sergio Mattarella. In tempi difficili come quelli dell’emergenza-pandemia, è una consideraz­ione che assume un valore ancora maggiore.

E che bisogna avere il coraggio, dando forza al messaggio educativo, di condivider­e con i più giovani. Rispetto delle regole è rispetto di se stessi e degli altri. Sembrerebb­e l’uovo di Colombo. È la riscoperta, che oggi sembra rivoluzion­aria nella sua semplicità, dell’aureo principio secondo cui la propria libertà finisce dove ha inizio quella altrui.

❞ Quello che ci dice il passato Secondo la lezione di Agnes Heller (e la preveggent­e intuizione di Mazzini) bisogna impegnarsi per i diritti e le libertà di tutti, ancor più in questo nostro tormentato mondo «globale»

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