L’ILLUSIONE DANTESCA DI UN EX COVO DI GOLIARDI DA OSTERIA
Non tutti i visitatori di Firenze corrispondono allo stereotipo del turista di giornata, che sceso dal pullman non fa in tempo a vedere Uffizi e David che è già in viaggio verso Venezia. C’è un’altra categoria, di cui fanno parte anche diversi cittadini: quella dell’esploratore, che preferisce andare a stanare il notevole e il pittoresco da angoli inattesi. Per tal veridico flâneur, uno dei tesori più graditi è la piccola collezione (fotografatissimi i cartelli coi nomi) composta da via dell’Inferno, via del Limbo e dalla maggiore delle tre, via del Purgatorio.
Non si creda che ci siano dietro colte intenzioni dantesche: tutti e tre i nomi vengono da antiche osterie, oggi perdute, che in particolare in via del Purgatorio trovarono spazio per via di un certo destino della strada, effettivamente… purgatoriale. È facile credere oggi che essa si diparta da via della Vigna Nuova; del resto per qualche passo un paio di boutique ne continuano la promessa di lusso, confermata dal palazzo cinquecentesco al 17, dalla torre medievale all’angolo con via del Parioncino, o ancora dalle tracce trecentesche al civico 10. In realtà, via della Vigna Nuova era il luogo in cui via del Purgatorio si concludeva, ai tempi in cui aveva ben altre ambizioni che limitarsi a condurre il flâneur in via dell’Inferno o in via del Limbo. Il primo nome della strada era stato infatti via del Parion Vecchio, fatto che già — c’è un Parione vicino, che possiamo desumer Nuovo, nonché un Parioncino — può farci supporre che un tempo la via avesse tutt’altra importanza. Supposizione corretta, dato che si apriva direttamente su via Tornabuoni come via del Parione, se non più sontuosamente, dato che lo faceva nel bel mezzo del Palazzo Minerbetti. Si capisce che quando la via si trovò cieca proprio all’imbocco, chiusa tra quel palazzo e quello dei Rucellai, perse senso, circolazione e rilievo, a dispetto dei suoi begli edifici: così, nel giro di un paio di secoli, i nobili ingressi coi portali di pietra ribattuta, gli stemmi scolpiti e gli atri dotati di statue finirono per ospitare artigiani di arti sempre più modeste, fino all’avvento di osterie tanto popolari da non farsi problemi ad assumer nomi goliardicamente ispirati a luoghi di supplizi.