Fellini, la fantasia al potere
Omaggi Aldo Tassone racconta il libro di 900 pagine dedicato all’amico, «il più grande di tutti» «L’ho conosciuto da ragazzo grazie a Flaiano e ho avuto l’onore di seguire le riprese dei suoi film»
Quando gli chiediamo come ha fatto a scrivere un libro di novecento pagine, Aldo Tassone risponde con il suo proverbiale candore: «Ci ho messo dentro tutta la mia vita». E forse non poteva essere altrimenti per uno degli ultimi grandi maestri della critica cinematografica italiana (ideatore e anima, insieme a Françoise Pieri, per ventitré anni del mitico festival fiorentino France Cinéma, che ha formato un paio di generazioni di cinéphiles), visto che l’argomento del volume è l’opera omnia del regista con cui ha diviso un’intera esistenza, Federico Fellini. Si intitola Fellini 23½ il volume (edito dalla Cineteca di Bologna) con cui Tassone ha voluto rendere omaggio al «più grande di tutti» — sono ancora sue parole nell’anno del centenario della nascita e che nella quarta di copertina riporta un disegno inedito di Fellini, che ritrae la Saraghina (procace personaggio di 8½, archetipo delle donne felliniane) che danza la rumba sulla spiaggia di Fregene, donato a Tassone da Ennio Flaiano. Un libro monumentale destinato a restare negli anni, che si apre con una lunga intervista al regista (una sintesi dei tanti incontri avuti con lui) e prosegue con l’analisi e una sterminata antologia critica (italiana, francese e americana) per ognuno dei film del maestro di Rimini, e che l’autore presenterà insieme a Piera Detassis domenica 1 novembre (ore 10.30 al cinema La Compagnia), per France Odeon, il festival dedicato al cinema francese contemporaneo. A Tassone verrà poi consegnato il premio «Foglia d’Oro d’Onore» (la presentazione sarà preceduta dalla proiezione del mediometraggio Toby Dammit di Fellini).
«Ho atteso quarant’anni per fare questo libro e penso che sia stato giusto così e poi il titolo mi piace, è modesto e spiritoso al contempo — ci racconta Tassone — Tutto è partito nel 1969, quando ero uno studente di lettere che aveva deciso di fare una tesi su Fellini. L’idea di farmi incontrare per la prima volta il maestro era stata di Flaiano. Non avrei mai osato chiedere direttamente un’intervista a Fellini, per cui mi ero rivolto al suo sceneggiatore e amico. Lo scrittore mi prese in simpatia e così mi chiese di fargli per un po’ di tempo da “sotto-segretario”. Un giorno per sdebitarsi mi regalò una grande cartella, con sopra scritto 8½, con tantissimo materiale sul film e il disegno della Saraghina che ho conservato da allora e che ora è riprodotto nel libro. E fu sempre Flaiano, alla fine, a farmi conoscere Fellini. Gli portai la mia tesi e vista la mole del lavoro che avevo preparato mi fece il più bel regalo della mia vita: la sua eterna amicizia e la possibilità di seguire le riprese di tutti i suoi film vita natural durante. Cosa che feci, da Satyricon fino all’ultimo, La voce della Luna».
«Frequentare la “sua” Cinecittà per così tanti anni è stata una lezione di cinema ineguagliabile – continua Tassone – Sul set era un “faro” che si muoveva in continuazione, faceva di tutto: lo scenografo, l’elettricista, l’attore e mille altri mestieri. Era davvero la fantasia al potere». Tant’è che nel libro Tassone per descrivere il mondo poetico e stilistico di Fellini usa i termini «grande trasfiguratore», invece di quelli, più comuni, di «grande incantatore»: «Lui vedeva la realtà in maniera favolosa e trasformata — spiega ancora — Come i veri poeti ha la caratteristica di non distinguere bene tra cose viste, sognate e immaginate. E possiede il dono rarissimo di riuscire a trasfigurare tutto in visione. Peccato che parte della critica italiana e francese non abbia saputo vedere tutto questo nel cinema di Fellini, ma era accecata dall’ideologia».
Verso la fine del libro c’è uno dei capitoli più curiosi, quello dedicato ai giudizi su Fellini che altri registi hanno confessato a Tassone (che in mezzo secolo ha intervistato tutti i più grandi) e lì si trovano le testimonianze, tra gli altri, di Orson Welles, Akira Kusosawa e François Truffaut: «Conobbi Welles per puro caso, in un albergo di Cannes:
un giorno me lo vidi improvvisamente davanti, gigantesco, e gli dissi un po’ ingenuamente: “Buongiorno principe”. Lui rimase stupito e mi disse di andare a prendere un caffé con lui. Ne venne fuori un’indimenticabile chiacchierata che finì su Fellini, naturalmente. Ciò che mi confessò l’ho riportato nel libro: “L’hanno rimproverato di essere barocco, ma l’hanno detto anche di me; quella di Fellini è invece ricchezza espressiva, generosità, non ridondanza o maniera. Sono sicuro che resterà fino alla fine dei tempi perché il suo cinema è pura magia”». A proposito di Kurosawa (su cui Tassone ha scritto anni fa una fondamentale monografia) ci racconta che fu proprio lui a farlo incontrare con Fellini: «I due si adoravano, ma non si erano mai visti di persona, poi il caso volle che nel 1980 il maestro giapponese venisse a Roma per presentare Kagemusha e così decisi di organizzare una cena in un ristorante di Via Veneto. Fui io a chiamare un paparazzo per immortalare quello storico incontro (la foto, bellissima, è a pagina 853)». Con Truffaut il ricordo è invece legato al tempio della cinefilia mondiale, la Cinématheque Française di Parigi: «Era un tardo pomeriggio e Truffaut mi trascinò lì con lui a rivedere 8½, da cui era sempre stato impressionato. E la sera mi confessò che mentre stava lavorando a Effetto notte sentiva ancora fortissima l’influenza di Fellini. “Avere insieme, nella stessa immagine, la bellezza e l’umorismo è una cosa formidabile”, mi disse». Per non parlare di Jacques Tati, con il ricordo del quale si apre il libro: «Mi raccontò una volta che quando uscì a tarda sera dalla prima proiezione di 8½ era così emozionato e sconvolto che non ricordò più dove aveva parcheggiato la sua Citroën. Alla fine dovette tornare a casa a piedi, perché a quell’ora il metrò era chiuso».